Oblò cubano
LA TRISTE FINE DI SALVADOR ALLENDE  
“Cuba Nostra - i segreti di Stato di Fidel Castro”, un libro di Alain Ammar pubblicato in Francia, rivela oscuri retroscena sulla morte del Presidente cileno
Cuba nostra
Cuba nostra 
04 Ottobre 2005
 

Salvador Allende forse non è morto suicida durante l’assedio al palazzo Moneda in quel triste 11 settembre del 1973. Le ultime sconcertanti rivelazioni dicono che il Presidente cileno venne assassinato da un agente cubano incaricato della sua protezione. L’aviazione militare statunitense bombardava e diffondeva la paura tra i collaboratori del Capo di Stato socialista. Allende, vista la situazione disperata, aveva chiesto e ottenuto un breve cessate il fuoco perché meditava di trattare la resa. Secondo alcuni testimoni, Allende era terrorizzato e correva per i corridoi del secondo piano del palazzo gridando: “Bisogna arrendersi! Bisogna arrendersi!”. A questo punto, l’agente segreto cubano Patricio de la Guardia, aspettò che sedesse alla sua scrivania e gli sparò una raffica di mitragliatrice alla testa. Patricio, subito dopo, posò sopra il corpo di Allende un fucile per far credere che lo avesse ucciso un soldato nemico. L’agente segreto fece ritorno al primo piano dell’edificio dove lo aspettavano gli altri cubani e insieme a loro lasciarono il palazzo della Moneda per rifugiarsi nella vicina Ambasciata Cubana. Questa tesi contraddice le due precedenti versioni sulla fine di Salvator Allende fatte circolare sia da Fidel Castro (eroica morte in combattimento), sia dalla giunta militare cilena (suicidio). Tutto sommato è una tesi credibile, se si pensa che proviene da due vecchi membri dell’organismo segreto cubano oggi esiliati in Europa.

Il libro “Cuba Nostra - i segreti di Stato di Fidel Castro” di Alain Ammar (Edizioni Plon, Parigi) si sforza di illustrare questa intrigante teoria.

Alain Ammar è un giornalista specializzato in affari cubani e conosce molto bene l’America Latina, al punto che è riuscito a mettere insieme le dichiarazioni di Juan Vives e Daniel Alarcón Ramírez, due ex funzionari dei servizi segreti cubani. Juan Vives, esiliato dal 1979, è un ex agente segreto della dittatura ed è nipote di Osvaldo Dorticós Torrado, il presidente cubano fantoccio che regnò (si fa per dire) dal 1959 al 1976 e che fu “suicidato” in circostanze misteriose nel 1983. Vives dice di aver sentito dallo stesso Patricio de la Guardia la sconvolgente confessione sull’assassinio di Allende e pare che il racconto sia stato fatto nel novembre del 1973, in un bar dell’Hotel Habana Libre, dove si riunivano alcuni membri degli organi di sicurezza di Stato. Vives per molto tempo ha tenuto per sé la notizia perché, come lui stesso dice, “era pericoloso renderla pubblica” e poi non c’erano altri responsabili cubani in esilio che potevano confermare quella versione dei fatti. Quando Vives ha saputo che Daniel Alarcón Ramírez, detto “Benigno”, uno dei tre sopravvissuti alla guerriglia di Ernesto Che Guevara in Bolivia, si trovava anche lui esiliato in Europa, ha pensato bene di parlare.

Nel libro di Alain Ammar, “Benigno” conferma in toto il racconto di Vives. Tutti e due conobbero Salvador Allende e la sua famiglia, vissero in Cile durante il governo del presidente socialista e ascoltarono in momenti diversi la confessione di Patricio de la Guardia al suo ritorno all’Avana.

Il libro di Ammar descrive con precisione gli ultimi mesi del governo di Unità Popolare e soprattutto mostra il grado di controllo diretto che Fidel Castro era riuscito a instaurare mediante le spie della DGI (un servizio segreto cubano) sul Presidente Allende, i suoi ministri e i collaboratori più intimi. Di fatto la cosiddetta “via cilena al socialismo” era stata modificata in “via cilena al castrismo”, al punto che all’interno del governo di Allende esistevano voci che criticavano questa brutale ingerenza. “Mesi prima della sua morte, Salvador Allende era stato già strumentalizzato da Fidel Castro”, spiega Juan Vives, “però Allende non era l’uomo che L’Avana voleva tenere al potere a Santiago. Castro e Piñeiro (braccio destro di Castro in tutte le operazioni di spionaggio in America Latina e morto recentemente a Cuba di infarto) preparavano la successione forzata alle spalle dello stesso presidente Allende”. Il controllo sul capo di stato cileno era diventato maggiormente pressante dopo il primo tentativo di colpo di stato militare (29 giugno 1973), meglio conosciuto come il tancazo. Quando L’Avana seppe che i cileni vicini al Presidente erano spaventati, Fidel Castro fece sapere ad Allende che non poteva in nessun caso arrendersi, né chiedere asilo in un’ambasciata. “Se lui doveva morire, doveva farlo da eroe. Qualunque altra fine vigliacca o poco valorosa sarebbe stata pericolosa per la lotta in America Latina”, ricorda Juan Vives. Per questo Fidel Castro ordinò a Patricio de la Guardia di eliminare Allende non appena il Presidente avesse dato segni di cedimento al terrore. Poco dopo i primi attacchi alla Moneda, Allende stesso aveva detto a Patricio de la Guardia che voleva chiedere asilo politico all’ambasciata svedese. Purtroppo lo aveva confidato anche al suo addetto stampa Augusto Olivares, detto “el perro”, uomo corrotto al soldo dei servizi segreti cubani. “Olivares trasmetteva tutti i progetti di Allende a Piñeiro che a sua volta informava Fidel”, dichiara Juan Vives. Un altro guardaspalle di Allende di nome Augustín venne fucilato dai cubani negli ultimi momenti drammatici dell’attacco alla Moneda, secondo la dichiarazione resa da “Benigno” all’autore del libro. Il presidente cileno venne giustiziato da Patricio de la Guardia in persona che lo afferrò mentre stava scappando, lo mise a sedere con forza e disse: “Un presidente muore al suo posto!”. I colpi di mitraglietta partirono subito dopo, inesorabili.

Questa versione dell’assassinio di Allende non è nuova, ma secondo fonti della destra cilena il presidente venne ucciso dalla sua guardia personale perché voleva arrendersi. Alain Ammar dice: “Questa ipotesi venne accantonata subito perché non conveniva a nessuno: né ai collaboratori di Allende, né alla sinistra cilena, né ai suoi amici stranieri, né ai militari, né soprattutto a Fidel Castro”. La ricostruzione fatta da Alain Ammar e confortata dalle testimonianze di Juan Vives e Daniel Alarcón Ramírez potrà essere rinforzata in futuro dalle testimonianze di altri funzionari cubani che si trovano adesso fuori di Cuba. Secondo Alain Ammar, Patricio de la Guardia, condannato a trenta anni di carcere durante il vergognoso processo al generale Arnaldo Ochoa Sánchez, e oggi in libertà vigilata, avrebbe depositato un documento importante in una banca di Panama. Questo scritto è la sua assicurazione sulla vita perché racconta, tra le altre cose, l’assassino di Allende da lui eseguito per ordine di Fidel Castro. Questo documento segreto sarà reso pubblico solo in caso di morte di Patricio de la Guardia. Per via di questa minaccia, Fidel Castro fece fucilare il generale Ochoa e Tony de la Guardia, ma risparmiò Patricio.

La rivelazione delle vere modalità della morte di Salvator Allende non è importante solo per gli storici cileni, ma anche per i nuovi amici latinoamericani di Fidel Castro. Hugo Chavez è avvertito. Il dittatore cubano non è uomo che si accontenta di un’alleanza economica: la sua brama di potere è talmente grande da cercare di asservire ogni persona al suo volere.

Il libro di Alain Ammar è composto di 425 pagine ricche di notizie sul regime cubano, tutte cose che in Italia difficilmente trapelano. Sarebbe utile una traduzione in spagnolo, da far circolare tra la popolazione ispanica residente negli Stati Uniti, nei paesi latinoamericani e pure clandestinamente in territorio cubano. La mia speranza è che presto venga approntata anche una traduzione italiana di questa opera monumentale che rivela molti lati oscuri di un regime liberticida.


Gordiano Lupi

lupi@infol.it - www.infol.it/lupi



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