Diario di bordo
Vittorio Bellavite. Sulla Libia la coscienza cristiana rifletta e reagisca
06 Agosto 2016
 

Senza un voto del Parlamento il nostro paese interviene ancora in Libia. La coscienza cristiana faccia i conti con la storia e con l’oggi. Il silenzio potrebbe essere complice.

 

 

Giovedì in Parlamento, alle Commissioni Esteri e Difesa, si è discusso della concessione da parte del Governo italiano delle basi militari ai droni e ai cacciabombardieri USA per il loro intervento in Libia. I ministri della Difesa e degli Esteri Pinotti e Gentiloni, snobbando il Parlamento, non si sono presentati inviando due sottosegretari. Nessun voto è previsto sulle decisioni del Governo, che violano l’art. 11 della Costituzione. Per quanto il fatto sia incredibile, ieri venerdì i due maggiori quotidiani (Corriere della Sera e Repubblica) non hanno pubblicato niente di questo incontro. Ciò testimonia del basso livello a cui sono giunti nel nostro paese, almeno in questo momento, l’attenzione e l’impegno su questioni vitali per la collocazione internazionale dell’Italia e per la stessa moralità dell’azione di governo.

Ugualmente è molto scarsa la consapevolezza dei gravi comportamenti del nostro governo che continua a permettere l’esportazione di armi prodotte in Italia verso paesi (Arabia Saudita e Qatar) che ne fanno un uso criminale in aperta violazione della legge n. 185 sul commercio delle armi (su questa questione la ministra Pinotti continua a mentire di fronte alle ripetute recenti denunce del movimento pacifista).

Anche perché tutti sollecitati dai frequenti forti ammonimenti di papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi”, indico quale mi sembra debba essere la reazione della coscienza cristiana di fronte ai fatti in questione:

1) Qualsiasi riflessione sulla situazione in Libia non può che partire da un giudizio aspramente critico sull’intervento di tipo neocoloniale che nel marzo 2011 ha sconvolto la Libia ed ha aperto la strada alla divisione del paese, allo scontro fratricida tra le varie tribù ed anche all’arrivo dell’Is ed all’emergenza profughi. La guerra costò 25.000 morti e danni immensi (un paese che era nelle migliori condizioni in Africa ora è in difficoltà economiche gravissime), fu condotta in violazione del diritto internazionale e di ogni principio di moralità nei rapporti tra gli Stati. Il Governo italiano accettò di partecipare concedendo l’uso di sette basi aeree e, in seguito, di una flotta di cacciabombardieri, violando così in modo sfacciato lo stesso Trattato di amicizia con la Libia firmato nel 2009.

Per l’intervento del 2011 è ragionevole che le autorità della giustizia internazionale si pronuncino subito su fatti che non meritano di essere giudicati solo dai tempi della storia. Da subito, con qualcosa di simile al giudizio che è stato dato in Gran Bretagna sul governo Blair per l’intervento in Iraq, le istituzioni del nostro paese dovrebbero avviare un processo di rigoroso accertamento dei fatti e delle responsabilità, anche personali.

2) Inoltre un onesto approccio alla situazione libica si può solo fondare su una generale presa di coscienza di cosa è stato il passato coloniale italiano, quando l’invasione del 1911 costò al popolo libico centomila fucilati e impiccati e un dominio durato più di trent’anni. Questa parte orribile della nostra storia deve essere insegnata nelle scuole, conosciuta adeguatamente da tutta l’opinione pubblica, deve diventare cultura e una responsabilità  condivisa dall’intera nazione.

3) Premesso questo quadro di riflessioni e in una situazione oggettivamente difficile, mi sembra del tutto ragionevole quanto dice Alex Zanotelli (intervista sul Fatto quotidiano di giovedì 4): «questa offensiva viene percepita come una nuova guerra coloniale contro un paese arabo-mussulmano. Sarebbe un conflitto per il petrolio e magari per spaccare il paese in tre stati, altro segnale tipico dei disegni coloniali». Nel febbraio scorso Angelo del Boca, il maggiore esperto e storico della Libia, e Zanotelli inviarono al governo un Appello. In esso si ragionava su tutto e si concludeva in questo modo: «In un solo caso l’Italia può intervenire, nell’ambito di una missione civile di pace e dietro la precisa richiesta dei due governi di Tripoli e di Tobruk, che oggi si affrontano in una sterile guerra civile. Ma anche in questo caso, l’azione dell’Italia deve essere coordinata con altri paesi europei e con l’Unione Africana (UA)». Parole al vento.

Inoltre un intervento come quello avviato dagli USA, che il governo italiano condivide e a cui collabora, non ha alcuna efficacia per quanto riguarda il problema dei profughi ed assoggetta il nostro paese a possibili attentati terroristici, guidati o suggeriti dall’IS.

4) Le forze pacifiste sono troppo silenziose, c’è come una rassegnazione, una assuefazione che non c’è stata in altri momenti. La situazione è complessa, lo sappiamo, la viviamo. Può essere che i recenti gravissimi attentati terroristici abbiano annichilito e come stordito, almeno in parte, anche le sensibilità pacifiste. Tutto ciò premesso, siamo comunque obbligati a dire che questo intervento militare è nella linea ed è una conseguenza dei tragici errori/crimini costituiti dall’invasione dell’Afghanistan del 2001, dall’aggressione all’Iraq nel 2003 e alla Libia nel 2011 e dagli interventi in Siria, tutti contro ogni legge umana e ogni precetto evangelico e tutti inoltre fallimentari per quanto riguarda lo stesso loro esito militare e politico. Speriamo che nel mondo cattolico italiano le voci consapevoli della gravità della situazione si attivino, che le autorità ecclesiastiche, tanto loquaci su tante questioni, non stiano zitte in una comoda neutralità. Speriamo soprattutto che il movimento pacifista si prepari alla Perugia-Assisi del 9 ottobre in modo molto unitario su una piattaforma esplicita nei giudizi e capace di rilanciare il movimento contro la guerra, richiamandosi esplicitamente all’insegnamento di papa Francesco.

 

Vittorio Bellavite

coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa


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