Arte e dintorni
Nikla Cingolani. Turchia: lo stato dell’arte dopo il golpe
05 Agosto 2016
   

A poche settimane dal fallito golpe, nonostante il paese sia ancora scosso dagli avvenimenti e da numerose avversità, l’arte non si ferma. La 5ª Biennale di Çanakkale e “Contemporary Istanbul”, la fiera internazionale di arte contemporanea più importante della Turchia, hanno insistito sulla necessità di continuare le loro attività. «Siamo determinati a realizzare questa biennale anche nelle attuali difficili condizioni. Forse alcuni artisti saranno riluttanti a venire, e noi comprendiamo pienamente, ma le loro opere li rappresenteranno. Confidiamo nella volontà del popolo e degli ufficiali che sostengono la biennale come un prodotto della democrazia». Parola di Beral Madra, Art director della Biennale di Çanakkale, città situata in un punto di intersezione tra le culture europea, mediterranea e mediorientale, appena a nord dall'epicentro della crisi migratoria globale.

La mostra aprirà i battenti il prossimo 24 settembre fino al 6 novembre. Questa edizione si concentrerà sul tema della “Patria” e sull'immaginario legato al nazionalismo del 20° secolo con tutte le varie ripercussioni. Tra i 40 artisti invitati spicca il nome di Adrian Paci l’artista albanese che ha scelto l’Italia come sua patria. Da sempre coinvolto in prima persona in argomenti come transitorietà, sradicamento, esilio, attraverso le sue opere abbiamo l’opportunità di riflettere su cosa significa per noi appartenere ad un contesto e sull’incertezza di trovare una casa propria. L’arte è più forte di tutto e va avanti.

Dal 3 al 6 novembre si svolgerà “Contemporary Istanbul”, la fiera mercato che negli anni è diventata un punto di riferimento per i galleristi e i collezionisti.

Intanto si parla anche della biennale di Istanbul prevista nel 2017 a cura di Elmgreen & Dragset il duo di artisti danese/norvegese, e già c’è chi si domanda se dovrebbero dimettersi in segno di protesta per i provvedimenti autoritari che il governo di Erdogan sta applicando: dal coprifuoco all’ipotesi di riattivare la pena di morte. Niente tuttavia potrà fermare il cammino dell’arte, nemmeno le purghe che hanno seminato il terrore colpendo migliaia di persone in tutti i campi: organi di stato, agenzie stampa, tv, radio, case editrici, magazine, militari, magistrati, docenti universitari, insegnanti, autorità amministrative e giornalisti. Tra loro anche Zehra Dogan, 27 anni, artista e giornalista, editor di Jinha New Agency, un’agenzia di stampa tutta al femminile e femminista. Zehra è stata arrestata il 21 luglio in un bar di Mardin, città ai confini con la Siria a maggioranza curda, con l’accusa di “essere un membro dell'organizzazione terroristica PKK”. Trasferita immediatamente al carcere femminile di Mardin, lì resterà fino alla totale compilazione dell’atto di accusa da parte del pubblico ministero. Solo dopo il tribunale inizierà a discutere del caso. La prova dei legami con il gruppo militante del Partito dei Lavoratori del Kurdistan si troverebbe non nel suo lavoro da reporter come si potrebbe pensare, ma nella sua pittura. Zehra Dogan dipinge immagini di città devastate, ritratti di donne con il viso solcato da lacrime di sangue e altri orrori che la guerra provoca. Quando l’arte è usata come testimonianza spaventa più di ogni altra denuncia e vince su tutto. Usando le parole di Shirin Neshat, artista iraniana da molti anni in esilio dalla sua patria: «la forte oppressione sul popolo e la violazione della libertà di espressione può produrre l’effetto contrario: un'esplosione di creatività che per il regime è un incubo».

 

Nikla Cingolani


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