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In libreria/ Patrizia Garofalo. “Il tavolo antico” di Marisa Cecchetti
03 Agosto 2016
 

C’erano tutti a tavola. Era maggio.

Li ho chiamati tutti, i tuoi amici.

Come sempre”

Marisa Cecchetti
(da “La bici al cancello”)

 

La convivialità ed il ricordo ci conducono in spazi d’amore, inesauribile vuoto e tanto silenzio eternizzano dialogo e permanenza. «…Ora so, che lì ho scritto le righe più belle./ …Ora sento che intorno/ si aggira non visto e sornione/ -lui- e mi chiede il racconto di tutti questi anni».

La scrittura, ci dice la poetessa, è un rito, e vive nell’attimo in cui mani e penna e foglio vengono a connotare un insieme necessario, voluto e cercato di emozioni, bisogno di contatto, approdo pur momentaneo ad attenuare quanto ci scuote dentro. È tornato il tavolo antico e le venature del legno accolgono e rifrangono pensieri e memoria del tempo interrotto e ricominciato, accolto e amato nel silenzio che non si tace. «Lo sentirai nel vento quando sul ponte/ ti arrufferà i capelli/ lo vedrai/ nel musetto ammiccante di un delfino/ giocherà a nascondino dietro una nuvola/ sarà quell’onda buona/ che accompagna il riposo». Riscoprire nelle cose di sempre nuove luci di continua rinascenza, questo pulsa dallo scrittoio rinnovato che vibra come nuovo corpo pulsante. «Della mia terra ho riscoperto il grano… erano questi i quadri della mia vita/ identici sui campi che non invecchiano/ con gli odori che riconosco nell’aria/ che sa di sale perché oltre i campi/ io ci respiro il mare» steso nell’ampio raggio del vissuto mentre i pensieri connotano con icasticità immagini di ieri e di oggi; si aprono come da un album del tempo sparigliato nella cronologia ma non nella nitidezza che affonda nella religiosità della terra, nel variare delle stagioni di vita e morte, di dolore e rinascenza; persino gli oggetti diventano soggetti d’amore, mai vecchi semmai antichi come scrive Hillman; il tutto con la cifra stilistica con cui l’autrice ha sempre affidato al lettore il suo profondo equilibrio, coraggio ed armonia.

Non frantuma il verso e non singhiozza nella struttura, il pensiero scorre, acqua di fiume vergine dalla sorgente alla foce e la rotondità del verso (così definiva Quasimodo il concetto di classicità) abbraccia la forza del sentire. «…non serve/ chiedere l’ora ché parla il silenzio da solo/ ti stringi al lenzuolo e porgi l’orecchio e senti/ soltanto il tuo cuore-cavallo nell’ora in cui tocchi/ ma solo quell’ora nel cuor della notte/ né voce/ d’auto/ né d’uomo/ né passi/ né vita d’intorno-/ in cui tocchi la tua solitudine cieca».

Domani saranno ancora versi di segale e avvertimento del tempo azzerato da un dolore che non passa.

 

Patrizia Garofalo

 

 

 

Marisa Cecchetti, Il tavolo antico

Giovane Holden Edizioni, 2016, pp. 72, € 12,00


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