Il mortaio
Renato Ciaponi. Perché l'IGP ai pizzoccheri prodotti con grano saraceno proveniente dalla Cina?
05 Giugno 2016
 

Mi hanno chiesto “ma perché il riconoscimento europeo IGP ai pizzoccheri delle Valtellina? Perché un’indicazione geografica protetta per una pasta fatta con farina di grano saraceno che viene dalla Cina?”

Semplice.

Perché a differenza della DOP (denominazione origine protetta) dove tutto ciò che concerne l’elaborazione e la commercializzazione del prodotto ha origine nel territorio dichiarato, nel caso del prodotto IGP non tutti i fattori che concorrono all’ottenimento del prodotto provengono dal territorio dichiarato.

L’esempio tipico è la Bresaola della Valtellina, prodotto IGP e non prodotto DOP, perché ottenuta da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando, nel corso della stagionatura, del clima particolarmente favorevole della zona.

Così anche per le «Rusticane tagliatelle a base di farina di grano saraceno, specialità della Valtellina» (dizionario della lingua italiana Zingarelli) si valorizza e si riconosce il metodo di produzione tradizionale e il territorio dove il prodotto è sempre stato preparato.

Entrando nella rotazione agraria biennale dei nostri paesi di montagna (patate, grano saraceno, segale) ha permesso un miglior sfruttamento del poco terreno disponibile ma soprattutto ha dato una nuova risorsa alimentare alla povera cucina dei valtellinesi.

Ma se è pur vero che oggi in provincia di Sondrio è sempre più difficile vedere i fiorellini bianchi del grano saraceno o il rosso dei papaveri tra le spighe delle segale, non si può dimenticare che la farina di grano saraceno, opportunamente miscelata ad altre farine, è stata la base di molti piatti della cultura alimentare della Valtellina e Valchiavenna.

È importante specificare che l’IGP riguarda il prodotto di base, le tagliatelle o gnocchetti sia preparati secchi che freschi, non riguarda la ricetta. La Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 24 maggio 2016 che assegna il marchio IGP (indicazione geografica protetta), stabilisce che i «Pizzoccheri della Valtellina» sono una pasta alimentare derivata dall’impasto di almeno il 20% di farina di grano saraceno in miscela con altri sfarinati e sono da intendersi e da commercializzare sia come pasta secca sia fresca.

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea chiude finalmente una lunga storia iniziata nel 2012 con la pubblica audizione presso la Camera di Commercio di Sondrio. L’iter per il riconoscimento si era interrotto al ministero per l’opposizione del Pastificio Annoni di Fara Gera d’Adda, in provincia di Bergamo, che aveva rivendicato l’origine storica della pasta al territorio della bassa Bergamasca chiedendone l’allargamento della zona. Il contenzioso fu chiarito nel 2014 dal Tribunale delle imprese di Milano che stabilì che solo i pizzoccheri prodotti in provincia di Sondrio si possono chiamare «della Valtellina»; ma soprattutto stabilì che l’uso della dicitura «della Valtellina» per quelli prodotti in altre zone geografiche è da considerarsi concorrenza sleale. Una conclusione importante che sancisce anche l’appartenenza storica di una materia prima, il grano saraceno, introdotto in Valtellina dopo il 1600.

Grazie al grano saraceno sono nate alcune pietanze nuove che hanno sostituito la monotonia della polenta, delle minestre di latte o di quei “pastoni” fatti con le erbe selvatiche e condite con un po' di lardo: i malfàcc e gli strozzaprèvet, gnocchetti fatti con miscele di farine di grano saraceno e altri cereali, aggiungendo verdure e conditi secondo la tradizione, le manfrigole, piccoli cannelloni fatti con farina di grano saraceno ripieni di formaggi, conditi con il burro fuso, gli sciàtt o i chiscioi, frittelle di farina di grano saraceno contenente un pezzetto di formaggio e fritti nello strutto o nel lardo. Il fugascìun, lasagnette di farina di grano saraceno, di frumento e di segale, cotte in acqua con patate e verze, conditi con burro e formaggio giovane tagliato a fette, servite in una parte del brodo di cottura. O ancora l’introduzione della farina di grano saraceno anche nella preparazione della polenta miscelandola con quella di granoturco.

E naturalmente i pizzoccheri. Ma va ricordato che i pizzoccheri, così come vengono preparati oggi, non appartengono alla cultura contadina più autentica.

Nel 1798 Lehmann in Die Republik Graubunden, riferendosi alla Valtellina dice: «… il contadino benestante vive bene. Consuma infatti i prodotti della sua terra. Latte, formaggio e burro sono serviti ogni giorno in abbondanza… I Perzockel sono una sorta di tagliatelle fatte di farina e di due uova. La pasta vien cotta nell'acqua, poi si aggiunge il burro e si sparge subito il formaggio grattato…»

I pizzoccheri del contadino povero erano fatti invece mettendo nell’acqua bollente assieme alle verze e le patate, piccoli pezzetti dell’impasto di farine e acqua, staccati con le mani o con un cucchiaio (pizzocher col cugiar).

Non erano le tagliatelle, la cui preparazione richiedeva un tavolo, spesso mancante nelle case dei contadini più poveri. E così in aggiunta al formaggio per il condimento si usava il lardo o lo strutto e non il burro, che il contadino più povero vendeva e utilizzava con molta parsimonia.

Oggi i pizzoccheri sono diventati il simbolo della gastronomia valtellinese, presenti nei menu di tutti i nostri ristoranti e preparati nelle tantissime feste paesane; un numero elevatissimo di piatti che quotidianamente vengono preparati, purtroppo, utilizzando grano saraceno importato dalla Cina, non essendoci in loco una produzione quantitativamente adeguata.

Va segnalato che alcuni ristoranti valtellinesi utilizzano grano saraceno autoctono, che da alcuni anni comincia a essere nuovamente coltivato nella nostra valle. Il riconoscimento europeo per i pizzoccheri potrebbe diventare l’occasione per rilanciare la produzione di questa poligonacea rintroducendola nelle zone marginali creando un mercato di nicchia legato appunto soprattutto alla ristorazione.

I dati produttivi sono abbastanza incoraggianti: un ettaro di terreno a grano saraceno potrebbe dare, in condizioni climatiche favorevoli, 15 quintali di granella che diventano circa 11 quintali di farina e potrebbero servire a preparare 11.000 porzioni di pizzoccheri.

Senza dimenticare che la coltivazione di grano saraceno potrebbe anche creare una produzione di miele di grano saraceno, particolarmente richiesto per le ottime proprietà antiossidanti.

Così come potrebbero essere intensificate coltivazioni di patate e di verze per promuovere nella ristorazione una ricetta più autentica, più legata al territorio, come del resto è specificato nelle notizie storiche del disciplinare:

La produzione dei «Pizzoccheri della Valtellina» è considerata dai Valtellinesi un’attività tradizionale, legata alla propria storia e alla propria cultura; basti pensare che questa particolare pasta dopo essere stata cotta, viene tradizionalmente condita con numerosi ingredienti derivanti da colture e produzioni caratteristiche della Valtellina (burro, formaggio, verdure quali verze, patate ecc.).

Invece in diversi ristoranti burro e formaggio non sono scelti tra le produzioni valtellinesi, ma, seguendo la logica del profitto, utilizzando quelli più economici dimenticando di rispettare la tradizione e la territorialità. Così il formaggio top della cultura casearia valtellinese, il Valtellina Casera, formaggio che per le caratteristiche organolettiche e strutturali è sicuramente il formaggio più adatto per la preparazione del nostro piatto tradizionale, viene spesso sostituito con altri formaggi.

In un’indagine del Distretto Agroalimentare di Sondrio (Indagine sui mercati e canali di sbocco dei prodotti agroalimentari della Valtellina, 2010), realizzato dalla società Agri2000, si riportano i seguenti dati riferiti al formaggio Bitto e Valtellina Casera:

La provincia di Sondrio assorbe una quota in valore del 37,5% del mercato. Il territorio nazionale, esclusa la Valtellina, assorbe oltre il 60% della produzione, mentre l’esportazione è del tutto irrisoria con una quota inferiore all’1%.

I canali distributivi sono i seguenti: GRANDE DISTRIBUZIONE: 82%, GROSSISTI: 15% (di cui 25% alla ristorazione), DETTAGLIO: 3%, RISTORAZIONE: 0,01%.

Rapportando questi dati alla produzione annua di 200.000 forme di Valtellina Casera, risulta che solo 3.000 forme vengono utilizzate dai ristoranti valtellinesi.

Calcolando che in Provincia di Sondrio ci sono circa 1.000 ristoranti (ristoranti, ristoranti di alberghi, agriturismi, rifugi), si avrebbe un consumo medio per ristorante di 3 forme all’anno. Veramente pochi per un’enogastronomia che dovrebbe puntare tantissimo sui prodotti caseari.

Considerato che nella ristorazione valtellinese i pizzoccheri sono il piatto più richiesto, credo sia ragionevole e prudenziale calcolare una preparazione media di 50 porzioni a settimana per ristorante.

Calcolando un consumo di formaggio di 60 grammi a porzione (ricetta Accademia del Pizzocchero), avremmo un totale potenziale di circa 20 forme all’anno per ristorante solo per la preparazione dei pizzoccheri, per un totale di 20.000 forme. Un decimo della produzione totale del Valtellina Casera.

Ultimo ingrediente: il burro. Molto spesso vengono utilizzati burri importati dall’estero, o prodotti da industrie lontane dalla Valtellina, dimenticando che il “burro di latteria” è un prodotto agroalimentare tradizionale (PAT) riconosciuto dalla Regione Lombardia e prodotto con crema derivante da latte valtellinese.

Le caratteristiche organolettiche di questo grasso fuso sopra le tagliatelle di grano saraceno sono ben diverse da quelle dei burri d’importazione.

E allora mettiamo il sapore delle patate di montagna, il gusto raffinato del Valtellina Casera, il profumo del burro di latteria, il sapere del grano saraceno maturato al sole della Valtellina, mettiamo tutto in un piatto e raccontiamo ai turisti che dentro quel piatto c’è un territorio, c’è una storia, ci sono persone che con fatica lavorano una terra di montagna, dove le rese in agricoltura sono diverse dalla pianura! Sicuramente i turisti apprezzeranno e non si lamenteranno, anche se il prezzo fosse leggermente alto.

 

Renato Ciaponi

(dal Blog il gusto del gusto, 3 giugno 2016)


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