Habáname
Wendy Guerra. E arrivarono gli americani a Cuba… senza colpi d’arma da fuoco né missili
(el Nuevo Herald)
(el Nuevo Herald) 
04 Aprile 2016
 

Sono arrivati gli americani, ma non sono venuti armati di mitragliette o granate. Sono cecchini, sì, ma sparano con le loro fotocamere dai potenti obiettivi, oltrepassano le nostre recinzioni violando la scarsa intimità dei vetri; attraversano tende, tapparelle socchiuse, ringhiere di ferro, griglie e colonne neoclassiche.

Sono arrivati con la loro curiosità e le loro domande 60 anni dopo averci portato il Frigidaire e la Singer. Ci chiedono il permesso di entrare nelle nostre case con le porte aperte sulla strada, e lì impalati ti domandano: Dove hai comperato l’impianto stereo? Da dove arriva la Coca Cola? Dov’è la casa in cui è nato il Che? Dove comprano i vestiti i cubani? Dove comprano il cibo? Com’è la libreta di approvvigionamento? Conoscete il cibo biologico? Esistono ristoranti vegetariani? In quale parte della città si può fare yoga? Chi ha inventato il Mojito?

Sono qui. Sono arrivati in gruppo, portano sempre con sé le loro famiglie, ma camminano in fila indiana sui marciapiedi stretti e le piazze enormi, parlano poco e sottovoce, non gesticolano, appuntano in piccoli diari le cose che accadono e dopo mangiato, durante i brevi pranzi nei ristoranti dove ormai non ci sono più prenotazioni, si sentono soltanto le loro voci.

Sono arrivati gli americani, vanno a spasso su vecchie Impala, le allegre Chevrolet decapottabili riadattate, da poco verniciate di rosa o di azzurro pastello. Si lasciano trasportare dal vento di quaresima con quell’espressione che sembrerebbe dire: Perché ce ne siamo andati, è incredibile, dove potremmo stare meglio?

Se ne vanno così rapiti, dalla casa di Hemingway fino a piazza della Rivoluzione, con lo stesso entusiasmo e lo stesso sguardo raggiante rivolto a entrambi i soggetti.

Sono arrivati gli americani… e ora che ci faccio con la mia preparazione militare, la mia uniforme da campagna, la mia pallottola in canna nel caso in cui un giorno si fossero azzardati a entrare?

Arrivano sudati tra i portoni per evitare il sole, vestiti di bianco e beige, usando abiti leggeri per sopravvivere al safari soffocante e interminabile che giorno dopo giorno si vive in città: sole, acquazzoni, buche, rovine, acque di scarico delle fognature, fumo e polverone. Con il loro modo stravagante di combinare il comodo all’informale sono capaci di indossare i quadretti con chiassosi fioroni, rossi, arancioni, tropicali?

Poi si scopre che… “Compagni, sono arrivati gli americani ed è necessario fare un passo avanti e affittare loro camere nelle nostre case poiché gli alberghi del municipio non hanno più disponibilità”.

Ci parlano di baseball e chiedono stupiti perché non impariamo l’inglese.

Sono arrivati gli americani, si mettono disciplinati in fila nel tentativo di prelevare denaro dagli sportelli automatici, ma qui quel momento non è ancora giunto. L’apparecchio restituisce loro la carta, osservano la macchina e con gentilezza le sussurrano: Tenquiu.

Gli americani frugano nei loro telefoni come se davvero potessero connetterli a internet con la forza delle loro menti. Ammutoliscono di fronte alla naturalezza con cui i corpi femminili attraverso le strade sui tacchi; li localizzano, vanno loro incontro e arrivano perfino a parlar loro con sfrontatezza e malizia senza nemmeno conoscerli.

Muniti di piantine ed enormi litri d’acqua chiedono dove si trova ciò che noi ignoriamo: Vogliamo vedere la casa di Fidel Castro, si può fotografare? E questa certa distanza culturale, questo modo diverso di trattare i temi storici, questa svista politica, la voglia di capire l’incomprensibile li salva da ogni cosa.

Sono arrivati gli americani senza allarme aereo, senza colpi d’arma da fuoco, senza missili né mercenari.

Sono arrivati gli americani… E ora che ci faccio con la mia preparazione militare, la mia uniforme da campagna, la mia pallottola in canna nel caso in cui un giorno si fossero azzardati a entrare?

Sono arrivati, non si torna indietro, la musica è troppo alta, uno di loro mi domanda qualcosa, non lo capisco bene. Preparatevi, prendete nota… mi dico camminando verso di loro, attraversandoli per raggiungere il corpo del mio nemico e… ballare con lui.

 

Wendy Guerra

(da el Nuevo Herald, 1° aprile 2016)

Traduzione di Silvia Bertoli


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