Lo scaffale di Tellus
Annagloria Del Piano. Il guardante e il guardato di Angelo Andreotti
(foto P. Garofalo)
(foto P. Garofalo) 
01 Aprile 2016
   

Ho conosciuto questa raccolta di racconti di Angelo Andreotti grazie alla segnalazione della nostra Patrizia Garofalo, avendo per di più il piacere di assaporarne la lettura da una copia autografatami dallo stesso autore con grande gentilezza.

Il titolo, fin da quando appresi della sua uscita, mi è apparso particolare, già induce ad un approccio poetico e filosofico: davvero il guardare è cosa ben diversa dal solo vedere, ed essere guardati, quanto differente dall’essere solamente visti! Guardare, dare forma alle cose, alle persone, alle situazioni ed essere guardati… non esistere come ectoplasmi destinati a non lasciare traccia, almeno non sempre, almeno per qualcuno, per qualche guardante.

Certo, il tipo di sguardo include una gamma di infinite variazioni. C’è la narrazione autobiografica di uno sguardo sul dolore, sul distacco da una persona, e da un volto amato, come in “Pudore”, il primo dei diciannove racconti. Oppure, come in “La coiffeuse”, lo sguardo dell’altro, che un tempo sapeva rendere il guardato l’unico oggetto d’amore, desiderato e inarrivabile, è poi però divenuto staffilata di un ultimo sguardo, descrizione minuziosa del suo volto invecchiato di donna avvizzita.

Uno sguardo può continuare ad esserci, ad accompagnare l’amato anche mentre è lontano, tanto da far sì che tra la partenza ed il ritorno tutto sia intermezzo, tempo fermo, che non merita attenzione. È ciò che succede nel racconto “L’autoritratto”.

Al centro di “Notturno” c’è, invece, lo sguardo che si brama. La propria donna dorme e chissà dove la conducono i propri occhi e il proprio guardare. Tutto di lei tace. Offrimi il tuo sguardo, cosicché io possa seguirlo… finanche in sogno, vorrebbe il protagonista.

A volte certi sguardi non si dimenticano e sono insostituibili; quando vengono a mancare, quando a mancare, a non esserci più, è l’amato…, allora è difficile talvolta tornare a guardare. Impossibile cercare un orizzonte nuovo su cui allungare lo sguardo. Sembra più semplice e più giusto inzupparsi in pensieri di tristezza, senza futuro (“Il sorriso”).

Uno sguardo può celare vergogna verso di sé, far sentire colpevole chi colpevole non è. Nello specchio uno sguardo può restituire l’abisso… (“Le viol”).

Gli occhi degli altri ci trovano una collocazione, ci costruiscono una forma e ci determinano uno spazio. A volte sono amati e benevoli. Altre volte, non vorremmo incrociarli. Così avviene anche con i nostri stessi occhi, con i nostri stessi sguardi. Ed è meraviglia oppure delusione e sofferenza, molteplici opzioni si racchiudono nell’incontro degli sguardi. L’autore descrive lamine di luce, brillanti, che ammiccano al sole, una cesta di ciliegie il cui picciolo si stacca con un suono sordo e secco, il respiro svuotato dentro un nome che più che pronunciato è invocato, qualcosa nell’aria… Sono tutti attimi cristallizzati in tratti visivi, descrizioni affilate di ambienti e percezioni, quasi le pennellate di un quadro, che restituiscono al lettore una sensazione di sospensione, di fermo immagine: l’acqua di quella brocca della fantesca di Vermeer che si sversa nel recipiente e sempre continuerà a farlo, in un indugiare dell’azione e del pensiero che porta con sé. Forse è proprio la distanza fra il guardante e il guardato ad essere possibile solo nel presente dell’accadere, solo qui e da nessun’altra parte, come si legge in esergo alla raccolta, nelle parole del poeta Rainer Maria Rilke.

Ed è poetico il linguaggio e la scrittura di Angelo Andreotti, sia nell’evocare che nel descrivere minuziosamente istanti preziosi, fatti di quotidianità o di improvvise epifanie, capaci in ogni caso di dare un senso più profondo all’esistenza.

 

Annagloria Del Piano 

 

 

»» Quest'oggi, ore 17:30, la presentazione a Macerata


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