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21 marzo, primo giorno di primavera e giornata mondiale della poesia 
a cura di Paola Mara De Maestri
20 Marzo 2016
 

Da ormai 16 anni, in tutto il mondo, il 21 marzo, primo giorno di primavera, si festeggia la Giornata Mondiale della Poesia, celebrazione istituita dall’UNESCO nel 1999 e praticata per la prima volta nel 2000. La data, che segna il risveglio della natura dal lungo sonno invernale, è particolarmente significativa. La giornata dell’Unesco attribuisce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturali, della diversità linguistica e culturale, della comunicazione e della pace. Tra le diverse forme di espressione, infatti, ogni società umana guarda all’antichissimo statuto dell’arte poetica come ad un luogo fondante della memoria, base di tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica.

 

Ecco alcune poesie che abbiamo ricevuto da poeti del Laboratorio Poetico del Circolo Culturale F/N Morbegnese.

 

 

Al vecchio borgo

 

Fiumi di erbe mosse dal vento

corrono nei tuoi prati

come le acque del Bitto

nel suo perenne letto di pietre

come l'Adda sinuosa

e verde e dolce e cara

specchio agli occhi dei bimbi

e degli innamorati

di alberi vigneti e canti.

Il profumo dei boschi

inonda di sapori

i graniti del tempietto

rifugio estremo

di molti tuoi figli.

Solo le ossa dure

vegliano la rotolante notte

sugli amori e quindi nuova linfa

esplode nelle tue case ricoperte

d'ardesia grigia e solenne

al pari dell'ampio e austero San Giovanni,

tenue pittura consolatrice.

L'antico borgo

degli orobici monti

apre le sue strette

e lastricate vie di sassi

smussati e lucidi di stagioni

al greto pietroso del torrente

dove sulle rive

seduta su gradini caldi di sole

la vecchia contadina

guarda lo scorrere del tempo

nel miraggio delle sue mani

increspate dai succhi d'uva

dei faticosi retici vigneti

e dalle essenze d'alghe

dei freddi lavatoi alle Seriole.

 

Giuseppe Ravelli

 

 

Un noce fa primavera

 

È il tuo albero di noce

che dalla sommità del prato

par mi faccia segno…

- Vieni vicino -.

Ascolto.

E le sue lunghe braccia al vento

ammaestrate

intonano un dolce canto

che sa di sogno e di rimpianto.

 

Di luna in luna

cambia d’abito l’albero

e si risveglia

con le primule assopite;

dalle fresche zolle

rispuntano radici ben salde.

Nei suoi cerchi è impressa

la mano di un bambino

che gli ha dato la vita.

 

Ancora lì allo scurir del sole

in interminabile attesa

il pensier mio non s’arresta.

Se fossi qui

vivo ancora

accanto alla tua pianta…

Ed invece di te

non mi rimane che un noce

a far ancora Primavera.

 

Paola Mara De Maestri

 

 

Neve di marzo

 

Finalmente sei tornata

ti posi bianca e leggera

nel giardino

sui crocus bianchi

sul pirus dai fiori rosa

che già sono spuntati

in questo inverno

passato senza di te.

È marzo

fino ad ieri il sole splendeva

la natura era pronta

per la primavera

ma l’inverno

mi ha fatto un regalo

e i tuoi fiocchi

son finalmente arrivati

guardo con gioia

questa immagine di purezza

che mi mancava

ti sfioro, t’annuso

ti stringo nella mia mano

e come facevo da bambina

ti porto alle labbra

come un prelibato

agognato gelato.

 

Antonietta Volonté

 

 

Nel tram

 

Si sente il suono di un oltrescibile -
immarcescibile.
La soglia della coscienza è alta,
vigili noi siamo.

 

Tutto sibila.
Tutto fischia.
Tutto biascica.

 

Marco Moscarello

 

 

Vento di Primavera

 

Arrivi nel tempo meridiano

da occidente

porti dai giardini lacustri

profumo di fiori

e polline fecondo sui prati

dove già il verde domina la scena.

E passi veloce

tra le vie dei quartieri

che un tempo erano prati

campi fecondi e broli colorati.

Sbatti sulle alte mura delle case

che non colgono la tua essenza

di fede all’eterno Universo

proteggi dal vigore del sole

le gemme pronte al germoglio

di nuova vita

e il vecchio contadino

sente sul grinzoso volto

la tua carezza ardita.

 

Giorgio Gianoncelli

 

 

Il lavoro della terra

 

Cosa può essere più nobile che lavorare la terra

in ginocchio ci prostriamo a Dio

e con mano tocchiamo quello che sempre ci ritorna

per quanto proviamo ribrezzo delle nostre secrezioni

è certa morte senza di esse

non disprezziamo ciò che ci tiene in vita

un tappeto di muschio

quale cosa più piacevole di camminarci a piedi nudi

strusciarsi su di un pino per prenderne l'odore

il corpo stanco di un contadino trova sollievo sotto le acque

[di una cascata

come sotto una danza di nuvole

 

e si sente stanco
a conoscenza di questa fatica non c’è ginnasta che provi

[un'emozione più pura

 

colui che nella fretta della sua avidità toglie poesia al nostro cibo
infangandolo di veleni
che poi ci ritornano
dopo essere stati nubi
arrogante e schiavo del suo malessere
ingrassando il suo ventre
bestemmia contro il cosmo.

 

Giuseppina Barolo


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