Lo scaffale di Tellus
Giuseppina Rando. Su Marina Cvetaeva 
Un viaggio nell’universo dell’anima
02 Marzo 2016
   

Marina Cvetaeva ha vissuto la sua tormentata vita all’insegna dell’amore, della passione, della tragedia, del desiderio mai appagato. Espulsa da tutti i luoghi del mondo e da se stessa, gettata verso una meta che sa non raggiungerà mai, scrive: Io sono nata condannata ad amare e a star male, a essere amata da lontano, nell’aria, dove non si vive…

La russa Viktoria Schweitzer ci conduce per i sentieri tortuosi della sua vita con una narrazione coinvolgente,* e fa luce sullo sfondo storico, politico, materiale e sentimentale da cui è scaturita la poesia di un’artista che, con le parole di Pasternak, si è sempre sentita ostaggio dell’eterno carcere del tempo.

Serena Vitale, grande conoscitrice della lingua e della letteratura russe, nonché traduttrice delle opere della Cvetaeva, nel saggio introduttivo, scrive:

[...] non conobbi in Russia Viktoria Schweitzer […] dal 1978 non viveva più a Mosca: era emigrata con il marito e la figlia negli Stati Uniti. Dodici anni prima, per aver manifestato contro l’arresto di Andrej Sinjavskij e Julij Daniel’, era stata licenziata dall’Unione degli scrittori, dove lavorava come segretaria; con molti anni di lager alle spalle, membro di un gruppo operaio di lotta clandestina “Per la giustizia”, suo marito era un vigilato speciale: restare in Unione Sovietica era per loro impossibile.

Le due studiose della poetessa russa si incontrarono a Losanna nel 1982, nei giorni del primo convegno internazionale cvetaeviano e venni a sapere – scrive la Vitale – che Viktoria Schweitzer s’imbatté nel nome della poetessa russa quasi per caso, tra le pagine di un libricino rilegato a mano dove qualcuno aveva copiato alcune sue liriche; da quei fogli sbiaditi si sprigionava potentemente la voce di Marina Cvetaeva, e chiedeva di essere liberata da un lungo silenzio.

Così da uno studio accurato e da una lunga ricerca condotta con passione è nata la più completa ed esauriente biografia della Cvetaeva che oggi si conosca.

Se è vero che Le opere e i giorni di Esiodo, il più antico scrittore di cui abbiamo notizie storiche, è un’opera che riconduce alla dimensione morale della realtà umana i fatti della vita e della storia che la tradizione collocava nella sfera mitica ed eroica, è ancor più vero che I giorni e le opere della Cvetaeva narrati da Viktoria Schweitzer ci offrono, come in un puzzle, i volti ora magici ora tragici dell’amore. Sì, perché il ponderoso volume non si presenta soltanto come la narrazione storica, documentata (lettere, diari, testimonianze) di una vita singolare quale è stata quella della Cvetaeva, ma soprattutto come un lungo viaggio alla scoperta di un mondo intriso di emozioni, di sentimenti, di pensieri: un viaggio nell’universo dell’anima.

Guardo il mare – da lontano, da vicino, vi immergo le mani, ma non è mio, io non sono sua. Non posso dissolvermi, fondermi. Il tema dell’impossibilità di “dissolversi e fondersi” è quasi una costante dell’arte cvetaeviana, oppure: …la colpa è dei libri e ancora della mia profonda sfiducia nella vita vera reale […] Io dimentico me stessa unicamente quando sono da sola, soltanto in un libro! […] i libri mi hanno dato di più delle persone, il ricordo di un essere umano impallidisce sempre di fronte a quello di un libro – non parlo di ricordi infantili, no, solo di quelli dell’età adulta!

Un’esistenza straordinaria vissuta tra la rivoluzione, la guerra, la persecuzione, l’esilio, la miseria, la fame, gli orrori dello stalinismo, il disprezzo e l’oblio. Un’esistenza segnata dal male di vivere e sempre dominata dal pensiero dell’anima che dà la sensazione di una solitudine totale per cui non esiste cura. Il corpo di un altro essere umano è un muro – non mi lascia vedere la sua anima. Come odio quel muro!

Per tutta la vita la Cvetaeva desidererà andare oltre il corpo e comunicare con le persone unicamente a livello dell’anima. Anche l’incontro tra Marina e Sergej Efron – il marito – è quello che l’anima di lei bramava: eroismo, romanticismo, abnegazione… E prima ancora, a un altro amore, un giovane critico di nome Bachrach, aveva scritto: Se mi riuscirà di portarvi, attraverso la mia anima viva, nell’Anima, attraverso me, nel Tutto sarò felice. Giacché il Tutto è la mia casa. E a Pasternak: Mio caro Pasternak! Il rapporto che io preferisco è ultraterreno. Il sogno. Il secondo la corrispondenza. Si sogna e si scrive non quando noi vogliamo, ma quando ne hanno voglia: la lettera di essere scritta, il sogno di essere sognato. Non amo gli incontri della vita: si sbatte la fronte. L’incontro deve essere un arco: al di sopra.

Amò, infatti, oltre a suo marito Sergej, straordinariamente nobile e bello, grandissimi poeti o individui sconosciuti, dei quali talvolta, per timore delle delusioni che di tanto in tanto subiva, non conobbe il viso. A Rilke, che adorava e non vide mai, scriveva: Reiner, si fa sera, ti amo. Ulula il treno. I treni sono lupi, i lupi sono la Russia. Non un treno, la Russia intera sta ululando verso di te.

A proposito della relazione di Marina con la poetessa Sofija Parnok, di sette anni più grande di lei e nota per le sue inclinazioni omosessuali, Viktoria Schweitzer scrive:

[...] non sfiorerei neppure l’argomento se non fosse per la traccia significativa che lascia nel cuore, nella mente e nell’opera della Cvetaeva … è molto più importante rilevare pulsioni nuove per la Cvetavea – erotiche e spirituali all’eros legate […] la passione che cresce e gradualmente si affranca … per la prima volta amore ed eros si fondono: “Mi stringevate la testa / carezzando ogni ricciolo. / Il fiore della spilla di smalto mi gelava le labbra [...]”.

Diverso, invece, fu il rapporto che legò Marina ad Anna Achmatova: …voi siete il mio poeta prediletto… Ma le due poetesse, nota la biografa, sono agli antipodi sul piano umano e nell’espressione poetica della propria personalità: nell’Achmatova Marina ama ciò di cui è priva, in primo luogo la riservatezza e l’armonia.

Per Aleksander Blok, che venerava, scrisse:

Dopo la morte di Blok, io continuavo a incontrarlo su tutti i ponti notturni di Mosca, sapevo che vagava lì, che forse mi stava aspettando, io ero il suo grande amore, anche se lui non mi conosceva, il grande amore che il destino gli aveva riservato e non si era potuto realizzare … Perché io sono fatta per la vita.

Era una donna estrema la Cvetaeva, una donna di fronte alla quale, aveva detto un suo amico ebreo, bisognava aver paura: ha saputo affrontare la miseria e la fame… battere i mercati delle pulci per vendere libri e qualunque altra cosa possa essere venduta… spaccare un mobile scelto amorevolmente per le nozze e farne legna da ardere… scegliere le patate gelate con le mani gonfie per il freddo… e con quelle stesse mani scrivere di Maria Antonietta, di Byron e Casanova… Scrive e scrive e ogni volta è sempre una Cvetaeva “nuova”. Dal momento in cui prende coscienza dei concetti di Essere ed esistenza, essi diventano per lei antagonisti: l’esistenza va vinta, battuta, perché lei può vivere solo nell’Essere. Casanova, Lauzun, il Don sono il suo Essere, le patate gelate l’esistenza. E sono le vertigini del cuore e l’incanto per il teatro ad aiutarla a sopravvivere agli inverni che seguirono la rivoluzione. A Pasternak scrisse: Quando penso all’ora della mia morte penso sempre: la mano di chi prenderò nella mia? e: soltanto la tua mano! Non voglio né sacerdoti né poeti, voglio chi per me soltanto conosce le parole… Voglio le tue parole, Boris, da portare in quella vita!

Morì sucida nella solitudine più assoluta: l’avevano respinta tutti. Al figlio lasciò questo biglietto: Perdonami, ma andare avanti sarebbe stato peggio. Sono molto malata, non sono più io. Ti voglio un bene infinito.

Con una narrazione coinvolgente, la Schweitzer analizza ogni tappa, ogni opera di colei che incarnava veramente la poesia: la Russia ha dato al mondo molti grandi poeti, ma nessuno di loro, credo, è stato la voce vivente della poesia fino alla tragica morte come Marina Cvetaeva. Incomparabilmente “altra”, un pianeta a sé, un’isola stellare.

 

Giuseppina Rando

 

 

* Viktoria Schweitzer, Marina Cvetaeva. I giorni e le opere, Mondadori, Milano 2006.

 

 

 

(Il testo qui proposto è al capitolo “Desiderio” nel volume: Giuseppina Rando, Le belle parole, prefazione di Flavio Ermini, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero 2013, pp. 216, € 15,00)


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