Oblò cubano
Yoani Sánchez. Una visita più simbolica che politica
19 Febbraio 2016
   

L'ultima volta che un presidente degli Stati Uniti si è recato in visita a Cuba il Campidoglio dell'Avana non era stato inaugurato, moriva il famoso lanciatore di baseball El Diamante Negro e mia nonna era una bambina dai capelli arruffati e lo sguardo vivace. Non è rimasto nessuno che ricordi quel momento per poterlo raccontare in prima persona, perciò l’arrivo di Barack Obama sull'isola sarà un avvenimento inedito per tutti i cubani.

Come reagirà la popolazione? Con gioia e sollievo. Per quanto poco possa fare il presidente di un altro paese per cambiare una nazione in cui noi cittadini abbiamo permesso una dittatura, la sua visita avrà un forte impatto simbolico. Nessuno può negare che l'inquilino della Casa Bianca risulti ai cubani più simpatico e popolare che l'anziano e poco carismatico generale che è salito al potere per eredità di sangue.

Quando l'aereo presidenziale toccherà terra sull'isola, la barricata che tanto abilmente ha innalzato il Governo cubano per più di mezzo secolo subirà un colpo irreversibile. Non è lo stesso vedere Raúl Castro e Barack Obama che si stringono la mano a Panama, rispetto a questo incontro nel territorio che fino a poco tempo fa era fitto di barriere contro “l'impero” e scherno ufficiale nei confronti dello zio Sam.

Il governatore statunitense non potrà cambiare Cuba ed è meglio che nemmeno ci provi, perché questo torto nazionale è responsabilità nostra

La stampa del Partito Comunista dovrà fare i salti mortali per spiegarci l'accoglienza ufficiale al comandante in capo delle forze armate del “paese nemico”. I militanti più riluttanti si sentiranno traditi e sarà evidente che, dietro una supposta ideologia, ci sia solo la determinazione di aggrapparsi al potere con le strategie tipiche dei camaleonti politici.

In strada, la gente vivrà con entusiasmo questo avvenimento inaspettato. Per la popolazione nera e meticcia, il messaggio è chiaro e diretto in un paese in cui una gerontocrazia bianca ha il controllo del potere. Coloro che possiedono una maglietta o un poster con la faccia di Obama lo esibiranno in questi giorni, approfittando del permissivismo ufficiale. Fidel Castro morirà ancora un po' all'interno del suo sorvegliato rifugio dell'Avana.

La birra Presidente verrà esaurita nei bar, dove si sentirà dire a voce alta la frase “dammi ancora due Obama”, e non c’è da escludere che questa settimana gli uffici di stato civile registrino svariati neonati con il nome Obamita de la Caridad Pérez o Yurislandi Obama. Pepito, il ragazzino delle nostre barzellette popolari, darà vita a un paio di battute per l’occasione e i venditori di cianfrusaglie tireranno fuori prodotti con la sagoma dell’avvocato e le cinque lettere del suo nome.

Ciononostante, una cosa è chiara, oltre le fronde dell'entusiasmo, il governatore degli Stati Uniti non potrà cambiare Cuba ed è meglio che nemmeno ci provi, perché questo torto nazionale è responsabilità nostra. A ogni modo, il suo viaggio sarà un colpo a effetto duraturo e dovrà cogliere l'occasione per lanciare un messaggio forte e chiaro davanti ai microfoni.

Le sue parole si devono rivolgere a quei giovani che proprio in questo momento stanno armando nelle loro teste la zattera della disperazione. A loro c'è da far sapere che la povertà materiale e morale che li circonda non è responsabilità della Casa Bianca. Il modo migliore in cui Barack Obama può entrare nella storia di Cuba è chiarire che i colpevoli del dramma che viviamo si trovano a Piazza della Rivoluzione dell'Avana.

 

Yoani Sánchez

(dal blog GeneraciónY su 14ymedio.com, 18 febbraio 2016)

Traduzione di Silvia Bertoli


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