Rimeditazioni
Distinzione dentro una identità. Un rapporto amoroso è vero quando l’uomo e la donna non si riducono mai a cose
20 Novembre 2006
 

 

«Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne».
Così sui leggeva, dal libro della Genesi, in una di queste domeniche. È un tema, questo della paritarietà originaria del maschio e della femmina, su cui non si finirebbe più di riflettere.
Chissà quanti avranno sentito leggere queste parole del Genesi al momento di sposarsi. Ma forse quello è un momento in cui si capisce poco (voglio dire col cervello): si è al momento culminante di una storia, e questo basta. Ma forse - e anche per questo - è bene riconfrontarsi ogni tanto, a mente calma, con testi come questo, che ci ricollocano, per così dire, in stato di primordialità originaria e profonda. La distinzione fra uomo e donna è, almeno a livello di natura, la prima che appare: forse si potrebbe dire la più profonda (pur che questa non serva a non vedere o a disconoscere le altre: per esempio quella tra sfruttati e sfruttatori, che percorre e inquina, ma anche stimola e rende dinamica tutta la trama dei rapporti umani, compresi quelli tra l’uomo e la donna). L’essere uomo o l’essere donna non è soltanto una connotazione anatomica: la petite difference, la piccola differenza, com’è stato detto con arguzia borghese. L’uomo e la donna sono uomo e donna in tutto il loro essere, nel senso che il sesso è una forza che attraversa l’intera personalità (a proposito, il sentire ciò come un limite o come un peso, il pretendere, volontaristicamente, di prescinderne, non può che essere causa di frustrazioni. Tutti ne abbiamo avuto sotto gli occhi degli esempi).
Però va subito detto, anzi va detto contemporaneamente, che questa distinzione avviene, si esprime, si celebra nel quadro, all’interno, di una sostanziale identità di natura. Siamo uomini e donne in tutto ciò che facciamo, ma prima di essere uomini e donne, siamo esseri umani, e lo siamo allo stesso e identico titolo. Forse l’unico peccato, nel rapporto tra l’uomo e la donna, si ha quando una parte non rispetta, o strumentalizza l’altra in ciò che essa ha di umano. Tutto il resto, tutta l’enorme, puntigliosa, nevrotica casistica che è stata costruita su di esso, e attorno al quale hanno sudato legioni di moralisti, potrebbe lasciarci indifferenti; oppure preoccuparci, sì, ma per la ragione opposta, per il carattere, o il sottofondo, vessatorio e potenzialmente sadico che ogni moralismo porta con sé. Guardate, come riprova, ai grandi oppressori della storia, guardate ai soprassalti autoritari che percorrono di bel nuovo questi nostri anni di riflusso: come prima cosa si mettono a fare i moralisti. Non bisogna lasciarci prendere a questo laccio, non bisogna cadere in questa trappola. Ci siamo caduti troppe volte, e dovremmo aver tratto i debiti insegnamenti dall’esperienza.
Ma addentrandoci più all’interno del nostro tema dicevamo: distinzione e identità. Distinzione dentro una identità. Esattamente - ma qui si aprirebbe tutto un lungo discorso; che lascio soltanto immaginare, sull’impronta trinitaria dell’amore umano - come all’interno della vita divina. La distinzione non si può eliminare, perché eliminandola, l’identità umana ricadrebbe su se stessa, come qualcosa che si affloscia e si svuota, priva di ogni dinamismo. Perché la distinzione è il fondamento delle relazioni, e noi viviamo perché siamo in “relazione”. Nessuna spinta alla relazione è tanto radicata e primaria quanto quella che riguarda l’uomo e la donna, nel loro reciproco apparirsi l’un l’altro. La loro relazione può essere assunta come l’archetipo di ogni relazione, ossia del fatto stesso che l’uomo è un essere “capace di relazione”, e di trovare in questa la sua realizzazione, la sua pienezza. L’“io” è tale per forza originaria, creazionale, propria, ma l’esigenza di un “tu” è costitutiva di esso. Perciò un rapporto amoroso è vero quando l’uomo e la donna non si riducono mai a cose, ma, al contrario, perdendosi l’uno nell’altro, diventano sempre più se stessi.
 
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, novembre 2006)

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