Arte e dintorni
Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau
Mucha, Job
Mucha, Job 
02 Gennaio 2016
 

La mostra “Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau” a Milano consente di tuffarsi nel mondo prezioso ed elegante del Liberty, lo stile che a cavallo tra Otto e Novecento caratterizzò il mondo dell’arte, dell’architettura, dell’artigianato e dell’arredo dell’intero contesto europeo.

La modernità irrompe attraverso l’affiche! Una giovane donna dagli occhi di smeraldo, i capelli morbidi ornati da un serpente, quasi una Cleopatra contemporanea, e una bestia selvaggia, un felino dalle fauci spalancate che, pur ammansita dalla bella, ne esplicita il fascino esotico e deduttivo, amplificato dal tondo a mosaico sul fondo. Antico e moderno, bellezza femminile e ferinità esotica, innocenza e peccato, sono i contrapposti che convivono armonicamente nell’invenzione grafica del praghese Alphonse Mucha (1860-1939), operoso nella Parigi fin de siécle e inventore sia dell’immagine aulica e irraggiungibile della diva Sarah Bernardt, sia di un nuovo ideale femminile che diventa tutt’uno con il concetto di modernità. Mucha è l’alfiere di quel ventennio a cavallo tra Ottocento e Novecento, comunemente definito Belle-Époque, ma che, più correttamente, andrebbe identificato con le atmosfere Art Nouveau, di cui il mitico negozio del gioielliere Georges Fouque, in Rue Royal a Parigi (ora Musée Carnavalet), realizzato su progetto di Mucha nel 1901, è forse uno degli esempi più affascinanti di fusione tra architettura d’interni e arti decorative moderne.

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, il diffondersi dello stile modernista, i movimenti secessionisti e la ricerca spasmodica di una nuova grammatica stilistica legata al concetto di opera d’arte totale (Gesamtkunstwert), e in parallelo al crescere

esponenziale di una committenza alto e medio borghese dalla chiara consapevolezza del proprio gusto e del proprio status sociale, spalancano le porte ad una ventata violenta e risolutiva di forme, di temi e di linguaggi che rispondendo alle aspettative della contemporaneità, ribaltano completamente valori formali ed estetici.

Veicoli fondamentali di diffusione di questo inedito sistema delle arti sono le riviste d’arte e di letteratura, nuove sia nei contenuti, sia nella grafica, come Le Japon artistique, pubblicato a Parigi, dal 1888, Pan a Berlino, dal 1895, Jugend a Monaco, dal 1896, Ver Sacrum a Vienna, dal 1898, Novissima a Milano, dal 1901 e L’arte decorativa moderna a Torino, dal 1902. Il valore positivo attribuito all’ornamento di ispirazione naturalistica, biomofica, ma anche esotica e aritmicamente lineare e avvolgente, sia in architettura sia nelle espressioni figurative, sia nelle arti decorative, è legittimato dalla convenzione che l’arte contemporanea debba essere caratterizzata da forme libere, capaci di suggerire intensità ed empatia di tipo ritmico-musicale ed evocare atmosfere avvolgenti, fascinose, gioiose, in fondo ottimistiche e positive.

Alphonse Mucha, e con lui tutto il suo mondo, crede fermamente nelle magnifiche sorti e progressive dell’età contemporanea, nella forza dirompente della giovinezza (lo Jugenstil, appunto), nell’ammaliante fascino di un’arte nuova (l’Art Nouveau), nel superamento della nostalgia, e dell’imitazione, del passato in favore di un mondo fluido, ritmico, organico, capace di metamorfizzare la banalità del quotidiano nell’eccezionalità di una bellezza diffusa nella quale l’ornamentazione scaturisce dalla consapevolezza che il mondo moderno, la vita urbana, la società industrializzata, l’utopia dell’arte per tutti, abbiano bisogno di attingere idee e forme dall’indistinto della natura e dal vitalismo biologico, di cui l’eterno femminino è parte fondamentale.

Ora, in Palazzo Reale a Milano (fino al 20 marzo 2016), e di seguito in Palazzo Ducale a Genova (aprile-settembre 2016), a fianco e intorno alle invenzioni grafico-pittoriche di Mucha, arredi, dalle sedie ad interi salottini, maioliche policrome e porcellane, vetri incisi e dipinti, sculture in pasta di vetro, bronzo, gesso, accompagnano con ritmo incalzante il visitatore in un itinerario fatto appunto di atmosfere, di sottili evocazioni, di rimandi continui ai temi prediletti di questo nuovo sistema decorativo: dall’universo floreale all’immagine femminile nelle sue diverse declinazioni, dalla fanciulla in fiore alla femme fatale, dal mondo animale, con pesci, insetti, animali notturni e pavoni, all’Oriente, un mondo remoto nel tempo e nello spazio in grado di suggerire mistero e ambiguità, alle pietre preziose, i cui rutilanti colori sembrano inglobati nelle paste vitree di Almeric Walter, nei vetri incisi da Émile Gallé e dai Fréres Daum, della scuola di Nancy. Tuttavia, se l’Art Nouveau è la declinazione francese (ma anche belga) del modernismo internazionale, il floreale, o meglio il Liberty, ne è declinazione in Italia, con caratteristiche meno coerenti in senso assoluto, spesso spurie, ma con le dovute eccezioni. Come ha più volte ribadito Rossana Boscaglia (1925 – 2013), alla quale è dedicato il Centro di ricerca per le arti decorative moderne, aperto quest’anno presso l’Università degli studi di Verona con la donazione della sua biblioteca, e che ha collaborato in prima persona alla realizzazione della mostra per la sezione delle arti decorative.

Un evento cruciale per il Liberty è l’esposizione di Torino del 1898, poiché esibisce arredi e oggetti sia di gusto eclettico (la maggioranza assoluta), sia di impostazione modernista, obbligando il pubblico e i produttori a confrontarsi sulle linee dello stile e del gusto futuri: sono presenti, e con successo, gli ebanisti milanesi Carlo Bugatti e il suo già autonomo allievo Eugenio Quarti. Gli arredi di Carlo Bugatti, che avevano riscosso consensi nel 1888 a Milano e a Londra per la particolarità dell’ispirazione orientalista, fanno scuola, oltre a Quarti, a Carlo e Pietro Zen e a Ettore Zaccari.

L’approdo di Quarti ad uno stile autonomo ed inconfondibile sarà consacrato a Parigi nel 1900 con l’esibizione di arredi dalle forme compatte e dai legni di base scurissimi, sui quali si stende un ramage elegantissimo di decorazioni floreali.

Accanto ai ben più noti Bugatti, Quarti e Zen, va segnalato Luigi Fontana, specializzato nella produzione di vetrate e mobili artistici che all’esposizione di Torino del 1902, propone una sala floreale con splendide vetrate del decoratore Fausto Codenotti, esposto, ora, a Milano.

La stagione del Liberty si può dire conclusa con l’esposizione a Milano del 1906, ma la crisi in qualche modo è per certi versi nell’aria già nel corso dell’esposizione torinese, d’altra parte il vento impetuoso dell’avanguardia futurista mette in crisi il gracile mondo floreale, che continua stancamente a produrre oggetti, arredi e decorazioni fino al primo conflitto mondiale. Il ritorno della pace, le cambiate esigenze di gusto, la ricerca di una raffinatezza materica e formale, che elude volontariamente il mito dell’arte per tutti, del bello come utile, spingono verso un nuovo sistema espressivo, l’Art Déco, che tuttavia conserva saldamente nel proprio patrimonio genetico la forza inventiva e il desiderio di metamortizzare il quotidiano che è stata chiave di volta del Modernismo e dell’Art Nouveau.

 

Maria Paola Forlani


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