Arte e dintorni
Adolfo Wildt. L’ultimo simbolista
Uomo antico
Uomo antico 
13 Dicembre 2015
 

Alla GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano si è aperta fino al 14 febbraio 2016 la mostra “Adolfo Wildt. L’ultimo simbolista” (catalogo Skira)

 

 

Cinquanta sculture, in gesso, marmo e bronzo, e dieci disegni di Adolfo Wildt, insieme a sette opere di confronto di Antonio Canova, Fausto Melotti e Lucio Fontana (questi ultimi allievi dell’artista alla Scuola del Marmo da lui fondata nel 1922), sono esposte nelle sale della galleria in occasione della mostra dedicata all’artista milanese, scultore di straordinaria potenza ed eleganza. L’esposizione, sotto la direzione di Paola Zatti, realizzata con la collaborazione dei Musées d’Orsay, l’Orangerie di Parigi e nell’ambito della partnership fra GAM e l’istituto bancario UBS, presenta un percorso espositivo diviso in sei sezioni cronologiche-tematiche che segue la carriera di Wildt degli anni della sua formazione presso la bottega di Giuseppe Grandi e l’Accademia di Belle Arti di Brera, sino quasi alla sua morte, avvenuta nel 1936, passando per il periodo dell’adesione al movimento del Novecento italiano (1922-1926) durante il quale l’artista si dedicò soprattutto a monumenti e ritratti. La mostra inoltre si propone di valorizzare tutte le testimonianze wildiane ancora esistenti a Milano attraverso un itinerario tematico diffuso per la città dedicato a questo grande artista che il critico Ugo Ojetti nel 1926 sulla pagina della rivista Dedalo definì capace «d’esprimere l’invisibile e di torcere il corpo umano finché ne sprizzi l’anima».

Nonostante il cognome d’origine germanica, Wildt nasce e muore a Milano dove trascorre larga parte della sua vita e svolge la sua intera attività artistica. La sua opera infatti è ampiamente rappresentata nelle raccolte della GAM che, pur esponendo nel percorso permanente il solo Uomo antico (marmo, 1914), conserva in deposito numerose opere e bozzetti e la magnifica composizione in marmo della Trilogia (Il Santo, Il Giovane, Il Saggio), esposte alla Triennale di Brera nel 1912 e giunta nel parco della GAM nel 1926 dopo molte traversie.

Adolfo Wildt è senza dubbio il maggiore scultore del principio del secolo scorso, ma ciò nonostante è stato ed è ancora oggi sconosciuto al grande pubblico, vittima, dopo la sua morte, di una condanna all’oblio decretata dalla critica, che non condivideva la sua poetica né il suo stesso concetto di scultura, e dalla cultura del secondo dopoguerra, che lo accusava erroneamente di essere stato un artista di regime.

Durante la sua vita d’artista, infatti, Wildt è stato amato e odiato dagli uomini e dalle donne del suo tempo, osannato e disprezzato dalla critica, suscitando ammirazione e ribrezzo, commozione e ripulsione, mai lasciando, però, indifferenti.

Wildt nasce e svolge la sua intera attività artistica in una Milano in fermento, terreno fertile della Scapigliatura di Giuseppe Grandi, ma anche della scultura impressionista di Medardo Rosso, poi del giovane movimento futurista affascinato dall’industriale «città d’oro e di ferro».

Personalità indipendente, Wildt rimane al margine delle avanguardie e conserverà sempre un solido legame con la tradizione artistica italiana, dall’Antichità al Barocco, con una netta predilezione per la pittura del Rinascimento. Questa mostra monografica pone in risalto tali rapporti, come pure l’unicità di Wildt e le sue affinità con i contemporanei, attraverso una selezione di opere dello sculture, a cui fanno da contrappunto quelle di altri artisti.

Tuttavia fino dagli anni intorno al 1890, quando Wildt comincia a lavorare per suo conto, il realismo di impronta alla Grandi che caratterizza il suo fare, già è infarcito di troppe astruserie letterarie o sovraccaricato di troppi significati. La vedova, Il Martirologio, Quando l’uomo tace, L’uomo che dorme, sono i titoli delle sue prime sculture fin che nel 1900 crea Sulla terra ogni animale tace quando l’uomo tace, oggi a Köenigsberg. Nella quale scultura, ove appaiono evidenti i richiami all’arte classica, l’impressionismo pittorico di Grandi si risolve nella definizione di piani e volumi sui quali la luce si diffonde serena.

Poi, nei primissimi anni del Novecento, Wildt ha un periodo di involuzione e di turbamento spirituali che, nella sua maniera, si riflettono in saltuari ritorni al Grandi, allo studio degli antichi, dei quattrocentisti lombardi ed anche di Michelangelo.

È anche il tempo nel quale lo scultore incontra Franz Rose un ricco signore tedesco che gli assicura l’indipendenza economica permettendogli di lavorare senza preoccupazioni d’ordine pratico. In questo momento Wlldt evolve ancora il suo stile nel quale gli elementi già acquisiti si pongono su di un piano che ha molti contatti con l’espressionismo perfino con il surrealismo.

Evoluzione sempre accompagnata da un continuo affinarsi della tecnica per cui il marmo scavato, assottigliato, reso trasparente, levigato, lustrato con pazienza infinita, finisce con l’essere snaturato, e divenire all’apparenza materia che talvolta dà l’impressione dell’avorio prezioso tal’altra della celluloide. La Trilogia (1912) nel giardino della villa Reale di Milano, il Vir temporis acti (1913) che è nel museo di Küenigsberg, Un rosario (1915) nella collezione Oberti a Genova, la Madre adottiva (1918) nel cimitero di Milano, Maria dà luce ai pargoli cristiani che è a Rebbio nell’Istituto di Maternità e Infanzia. La Concezione della collezione Rossi di Milano, il Sepolcro Boschi a Castiglione delle Stiviere sono le cose principali scolpite da Wildt nel periodo centrale della sua attività, quello appunto delle più intense crisi spirituali e delle figurazioni più tormentate, dolorose, contorte. Poi gradualmente, forse anche confortato dal successo e dai pratici riconoscimenti, le concezioni di Wildt sempre infarcite di letteratura sembrano rasserenarsi, le forme divenire meno involute e contorte mentre la tecnica, spinta ormai ai vertici delle proprie possibilità, assume essa stessa dignità di stile, Alcuni suoi ritratti quale quello di Toscanini (1925) della Galleria d’Arte Moderna di Roma, ove è anche un suo San Francesco, quello di Mussolini della Galleria d’Arte Moderna di Milano, quello di Pio XI (1926) e di Vittorio Emanuele III, come il S. Ambrogio nel monumento ai Caduti di Milano (1929) sono con La Casa del Sonno (1927), il monumento Körner (1928) e quello della Famiglia Rovera (1929) nel cimitero milanese, le espressioni più caratteristiche e raggiunte dell’ultimo periodo dell’attività dello sculture, conclusasi con l’efebico Puro Folle (1930), un marmo nel quale, dopo tante esperienze e ricerche per rendere trasparente, traslucida la materia, intenda egli medesimo consolidare le forme semplificate, classicheggiando secondo la tendenza in quegli anni anche codificata dal Manifesto del gruppo del “Novecento” al quale lo scultore, pur essendone spiritualmente lontano, volle aderire.

 

Maria Paola Forlani


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