Diario di bordo
Anna Lanzetta. Di fronte alla morte di Aylan, bimbo siriano
Käthe Kollwitz (Königsberg, 1867 - Moritzburg, 1945)
Käthe Kollwitz (Königsberg, 1867 - Moritzburg, 1945) 
05 Settembre 2015
 

È sempre l’infanzia a strapparci dal nostro torpore, a dirci che la nostra negligenza unita all’indifferenza sta massacrando le nostre coscienze e sta spezzando i nostri cuori.

Cosa chiede quel bimbo senza vita, solo, abbandonato sulla spiaggia al sonno della morte? Forse una ninna nanna? Forse il sorriso della mamma o il calore di un abbraccio? Forse una speranza di vita per tanti altri bambini vittime di guerre, di violenze e di odio?

Troppi sono i corpi finiti in fondo al mare, persone fuggite dalla propria terra per una possibilità di vita, per una speranza per i propri figli.

Troppi corpi accusano l’intera umanità di follia e di cecità.

E se fossimo noi costretti a bussare senza che nessun uscio si aprisse a una possibilità di vita?

Immagini strazianti ci accusano ma ciò che colpisce parimenti è che non si vede ancora nessuna seria soluzione al problema.

Non commuoviamoci soltanto di fronte al bambino trovato morto ma fermiamoci per pensare e riflettere in un profondo mea culpa perché si ponga fine a tale scempio.

Il mare si veste a lutto in un mormorio doloroso come un pianto antico di cui ci credevamo immuni.

Il mare perde i suoi magnifici colori e non dona refrigerio, pregno di presenze che ci gridano la nostra disumanità.

Il pianto si infittisce tra le onde a scaglie e appaiono volti di mamme lacere, di bimbi che chiedono solo una scodella di latte. Le mamme stringono a sé i figli in un dolore disperato, in una ricerca di aiuto negata.

I tanti corpi disseminati mostrano la nostra infamia. Non si ode più il lento e dolce mormorio del mare mutato in agonia.

Non possiamo dissociarci! Non dobbiamo! Troppi morti invadono la nostra ragione restia e le scaglie dorate del mare si coprono di livido orrore. Ogni volta che si affonda un piede tra le onde, si ritira istantaneo per timore che un corpo affiori o che un bimbo ci tenda la mano per un soffio di vita.

Il contatto con le acque ci riporta immagini di morte: bimbi strappati alle loro madri, braccia di madri strette ai propri figli.

Le madri nel mondo che lottano per la vita sono uguali, senza confini e senza colori. Tutti i bambini che bussano a un uscio sono uguali quando tendono un braccio perché una scodella si riempia. Ogni bambino che muore è un crimine contro l’umanità che ci coinvolge tutti e scuote le nostre coscienze. Non possiamo più restare muti di fronte a tale scempio. Ogni bambino reclama la sua scodella e nel mondo ce n’è per tutti e si potrebbero soddisfare le esigenze di tutti se solo si ripartissero in modo equo le ricchezze, se si riscoprisse quell’umanità che ci contrassegna come uomini.

È solo ignoranza quella che allontana dai propri doveri, è la paura del dare. Sono i tempi bui che generano rancore, diffidenza, che ci allontanano da quella carità che ci rende uniti e fratelli.

La disperazione di chi ci chiede aiuto è dietro il nostro uscio e ad ogni nostro boccone un bimbo piange per una scodella che non può stringere.

Quei vagoni riportano ad un passato triste da riguardare così come i numeri segnati con pennarelli. Non dimentichiamo la nostra storia. Non dimentichiamo chi siamo. Non siamo diversi, noi siamo fratelli e il grido di dolore che ci sovrasta deve essere raccolto per togliere dal mondo una vergogna che sta scuotendo fortemente le coscienze si spera (se non vogliono annoverarsi come bestie) anche di coloro che considerano chi chiede aiuto carne da macello.

Non rendiamoci ancora più colpevoli!

È sempre presente nella società il monito di Goya da non dimenticare: Il sonno della ragione genera mostri affinché nulla del passato si ripeta a nostra ignominia.

 

Anna Lanzetta


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276