Oblò africano
La produzione agricola e la domanda di lavoratori migranti: il caso della migrazione delle donne Basotho dal Lesotho al Sudafrica 
di Simone De Andreis
02 Agosto 2015
 

Nelle pagine seguenti sarà presentato un esempio di produzione agricola e di domanda di lavoro migrante tratte da uno studio sui lavoratori agricoli immigrati in Sudafrica condotto da D. Johnston nel 2007.1

Prima di addentrarci nello studio, sono necessarie tre annotazioni, due di carattere più squisitamente geografico e una etnologica, al fine di poter al meglio inquadrare e comprendere ciò di cui si andrà leggendo nel proseguo di questo lavoro. La prima riguarda la provincia sudafricana del Free State, e la seconda il Regno del Lesotho.

Il Free State2 (altri nomi ufficiali sono Vrystaat in afrikaans e Foreistata in xhosa) è una provincia del Sudafrica situata nella parte centrale del Paese, confinante con quasi tutte le altre province (KwaZulu-Natal a est, Capo Orientale a sud, Capo Settentrionale a ovest, Nordovest a nordovest, Gauteng a nord, e Mpumalanga a nordest) e con l'enclave del Lesotho. Il capoluogo della provincia, Bloemfontein, è anche la capitale giudiziaria del Sudafrica.

La regione corrisponde a quello che nel XIX secolo era la repubblica boera dell'Orange Free State, nome che fu anche della provincia fino al 1995, quando venne formalmente abbreviato in Free State.

La sua è una terra pianeggiante e aperta, con terreno fertile e clima favorevole all'agricoltura.

Il Regno del Lesotho3 (Muso oa Lesotho in sotho del sud, Kingdom of Lesotho in inglese, in passato noto anche come Basotholand o Basutoland) è uno stato dell'Africa del Sud, membro del Commonwealth of Nations.

Il nome di questo regno montuoso significa terra del Basotho e a sua volta Basotho significa il popolo Sotho.4 Il Paese è anche denominato il regno nel cielo, dal momento che le aree di pianura sono tutte sopra i 1000 m e negli altopiani del nord-est e del centro le vette possono raggiungere i 3000 m di altitudine.5

Il Lesotho è una enclave all'interno del territorio della Repubblica del Sudafrica ed è pertanto uno stato senza sbocco al mare. La popolazione ammonta a oltre 1.900.000 ab (CIA, 2015), i gruppi etnici sono: sotho al 99,7%, europei, asiatici ed altro allo 0,3% e le principali religioni sono: cristiani (80%), e fedeli ai culti tradizionali africani (circa 20%). Il sesotho (ufficiale) (denominato sotho nelle regioni meridionali del Paese), l'inglese (ufficiale), lo zulu e lo xhosa sono le lingue parlate nel Paese. La capitale del Paese è Maseru con i suoi 180.000 ab circa.

I Basotho6 (o Sotho, Basuto, Bassouto, Betjouanas), dal nome della loro tribù principale, sono una popolazione della famiglia dei Kaffer, che vivono in Africa meridionale, tra il 19° ed il 27° latitudine sud, dal XV secolo, sono allevatori di bestiame, da cui ricavano e lavorano le pelli e le corna. La loro distribuzione è la seguente: Sudafrica 3.543.000, Lesotho 1.600.000, Botswana 9.900, Swaziland 5.400; per circa l'80% sono di religione cristiana, ma sopravvivono anche i culti tradizionali africani (circa 20%). La lingua parlata è il sotho del Nord e il sotho del Sud.7

Nella regione agricola del Free State nei primi anni '90 del Novecento, gli agricoltori bianchi hanno cominciato a sostituire l'impiego di lavoratori neri sudafricani con donne Basotho, provenienti dal vicino Lesotho, al fine di impiegarle nella raccolta e nell'elaborazione di una vasta gamma di colture, con un salario più basso e una giornata lavorativa di 10 ore, per 6,5 giorni alla settimana.

Questo cambiamento è stato generato da una serie di fattori che si sono verificati alla vigilia della caduta dell'apartheid e che hanno agito in maniera sfavorevole alle colture degli agricoltori bianchi. Fra questi sono da annoverare le modifiche nella commercializzazione e trasformazione di molti prodotti agricoli, un abbassamento dei sussidi specifici distribuiti per coltura dal governo sudafricano, un calo delle altre sovvenzioni finanziarie tra cui quelle riguardanti livelli di credito più convenienti e un contesto macroeconomico in peggioramento che ha coinvolto il tasso di cambio, in negativo, della valuta sudafricana (Rand) e che ha portato a sua volta ad un aumento del costo dei fattori di produzione di molti prodotti agricoli e per ultimo una prolungata siccità che ha aggravato l'indebitamento dei farmer. Agli inizi degli anni '90 infatti due prolungate siccità hanno decimato i raccolti di mais, soia, frumento e la floricoltura del Free State, così come le coltivazioni di frutta, uva, mango, agrumi, papaya e leecees, della vicina provincia di Mapumalanga, esportate dai Porti di Richard Bay e di Durban.8 Tutto ciò ha gravato sui costi sostenuti dagli agricoltori sudafricani bianchi e ha favorito la ricerca di manodopera a più basso costo.

Di conseguenza, gli imprenditori agricoli hanno cominciato a coltivare altri prodotti orticoli nel Free State, in particolare gli asparagi, la cui coltura si è rivelata essere più vantaggiosa rispetto ad altre coltivazioni tradizionali come il grano e il mais. Certamente il costo del lavoro è rimasto una componente significativa dei costi per i datori di lavoro, che da sola però non spiega l'assunzione di donne Basotho, come lavoratrici, dal momento che molti uomini si erano offerti per lavorare allo stesso salario.

La risposta si può trovare, secondo lo studio di Johnston (2007), in parte nella natura del prodotto e in parte nel perdurare di stereotipi di genere. Per quanto concerne la prima, bisogna osservare che la coltura dell'asparago è estremamente delicata e sensibile al momento della raccolta. Proprio per questo è stata necessaria una forza lavoro flessibile, disponibile a lavorare anche di notte, e che poteva essere chiamata nei campi e nelle fabbriche conserviere proprio nel momento giusto e con poco o niente preavviso. Inoltre i farmer erano preoccupati per le possibili interruzioni del lavoro causate dagli scioperi dei lavoratori neri sudafricani, divenuti più esigenti dopo la caduta ufficiale dell'apartheid nel 1994. Oltre alle questioni relative ai costi della manodopera, un fattore che ha inciso nella scelta degli agricoltori sudafricani afrikander o di origine anglosassone, è stata la flessibilità e il temperamento mite delle donne Basotho. In questo modo esse hanno ottenuto il diritto legale di lavorare in Sudafrica. Le donne sono state considerate pertanto in funzione di uno stereotipo, che concepiva il lavoro nei campi come lavoro femminile.

Nelle donne Basotho, infatti, i farmer hanno visto una forza lavoro più gestibile, più adatta al lavoro sodo e più abile di quanto non fossero gli uomini sudafricani o anche quelli Basotho. Questo potrebbe spiegare perché il 60-75% dei lavoratori agricoli fossero donne, e perché, come rilevato sempre da Johnston, la percentuale di lavoratori immigrati stagionali Basotho sia aumentata dal 10% nel 1985 all'82% nel 1992.

Inoltre i datori di lavoro hanno preferito reclutare donne di età media di circa quaranta anni, con figli grandi, piuttosto che migranti con neonati o bambini molto piccoli. Essi credevano che le donne Basotho con figli grandi fossero più bisognose a causa delle notevoli responsabilità domestiche, e quindi disposte ad accettare una paga più bassa pur di guadagnare. Nel Lesotho, quando i loro mariti e i loro parenti maschi si recavano a lavorare nelle miniere sudafricane, le donne avevano sulle proprie spalle gran parte delle responsabilità economiche, sociali e famigliari. Dopo il drastico taglio di posti di lavoro compiuto nel settore minerario, l'industria tessile è diventata una voce sempre più importante nell'economia del Lesotho, al punto che circa il 90% dei suoi nuovi dipendenti è costituito da donne. Non tutte però trovano occupazione in questo settore e sono pertanto costrette ad emigrare. Contrariamente a quanto avviene in altre regioni del Paese, le donne Basotho sono spesso più istruite degli uomini, perché nelle zone rurali molti ragazzi sono obbligati ad accudire il bestiame (o ad andare a lavorare in Sudafrica), invece di frequentare la scuola.9

Come Johnston ha evidenziato fortemente, mentre gli agricoltori bianchi sudafricani sostenevano che le donne Basotho avrebbero migliorato le loro condizioni di vita lavorando nelle loro piantagioni, essi protestavano contro la riforma della legislazione del Sudafrica che avrebbe migliorato la retribuzione e le condizioni di lavoro agricolo.

Questo sistema di lavoro a contratto sembra essere un sistema ideale per i datori di lavoro, ma ha generato la perdita di manodopera qualificata per l'industria agroalimentare della conservazione durante quella parte dell'anno in cui non si coltivano gli asparagi. Per ovviare a questo problema gli agricoltori hanno avviato altre orticolture, come la soia, al di fuori della stagione degli asparagi, allungando in tal modo il contratto ad alcuni lavoratori e promettendo loro di assumerli anche per la stagione agricola successiva. Secondo Johnston, gli sforzi dei farmer in tal senso hanno generato un nascente sistema migratorio tra il Free State e il Lesotho, al fine di ottimizzare la produttività dei lavoratori e restituire agli agricoltori il loro investimento.

Le limitazioni legali alle assunzioni di lavoratori privi di documenti includevano ammende considerevoli (sia per i datori di lavoro e sia per i dipendenti) e una pena detentiva di cinque anni per ogni lavoratore migrante impiegato. Tuttavia tali sanzioni hanno avuto scarsa applicazione, dal momento che il governo sudafricano non ha messo in atto le risorse finanziarie necessarie.

In ogni caso, anche le donne migranti regolari nel Free State, che erano protette dalla legislazione del Lesotho sulla retribuzione e sulle condizioni di lavoro per i lavoratori migranti, spesso avevano contratti che sono stati facilmente violati. I migranti infatti, sovente, si sono visti costretti a pagare sia il costo della loro assunzione così come il trasporto e l'assistenza sanitaria sono stati detratti dai loro salari; e il sistema di pagamento dei salari è rimasto spesso irregolare.

Nonostante le donne migranti regolari (alcune di loro avevano già lavorato illegalmente) fossero predominanti in molte aziende agricole, sono state comunque assunte molte donne senza contratto, violando in tal modo le restrizioni di legge. La stagionalità dell'attività agricola legata alla coltivazione degli asparagi si è tradotta in contratti della durata tra i quattro e i sei mesi all'anno; inoltre i datori di lavoro sembravano preferire i lavoratori migranti, perché avrebbero potuto facilmente essere rimpatriati al termine del loro periodo di lavoro.

I lavoratori sono stati inoltre divisi in funzione etnico-linguistica in gruppi di lavoro; i lavoratori del Lesotho parlanti Sotho sono stati distinti dai lavoratori sudafricani parlanti Xhosa o Tswana, ma anche dai lavoratori sudafricani di lingua Sotho. I farmer hanno utilizzato la segmentazione su base etnica per evitare che i lavoratori si potessero organizzare tra loro, adottando di fatto una strategia fin troppo comune tra i datori di lavoro sia nei Paesi in via di sviluppo e sia in quelli sviluppati.

Le stesse distinzioni etniche sopra citate sono state estese agli alloggi, con la creazione di dormitori nei pressi delle aziende agricole separati su base etnica. Nonostante le precarie condizioni di lavoro descritte, la migrazione dal Lesotho al Sudafrica è rimasta alta a causa della scarsità di opportunità di lavoro e dei salari estremamente bassi nel Lesotho. I lavoratori Basotho migranti provenivano da famiglie particolarmente povere, con poca istruzione e afflitti da carenze sanitarie. Molte erano le madri single con un gran numero di bambini, mentre le donne coniugate ricevevano, dai membri maschi della famiglia emigrati, rimesse del tutto insufficienti.

Come in tanti altri esempi di migrazioni di lavoro, questo insieme di fattori ha creato una forza lavoro disperata, disposta a lavorare in condizioni che hanno consentito ai farmer bianchi sudafricani di mantenere le loro attività redditizie.

 

 

1 D. Johnston, Who needs immigrant farm workers? A South African case study(2007), Journal of Agrarian Change. 7, 4: 494–525. Lo studio è stato tratto da Michael Samers, Migration, Routledge, 2009.

2 Treccani.it

3 Ibidem.

4 www.missioni-africane.org

5 K. Amstrong, J. Brainbridge, L. Corne, M. Gronberg, A. Murphy, S. Richmond, T. Spurling, South Africa, Lesotho & Swaziland (Travel Guide), Lonely Planet, Novembre 2012.

6 Treccani.it Cfr. anche www.cia.gov.

7 Dati tratti da www.cia.gov.

8 G. Pagliani, Quando due elefanti lottano è l'erba che soffre: strategie e conflitti nell'Africa subsahariana, FrancoAngeli, Milano 2000.

9 K. Amstrong, J. Brainbridge, L. Corne, M. Gronberg, A. Murphy, S. Richmond, T. Spurling, South Africa, Lesotho & Swaziland (Travel Guide), op. cit.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276