Lisistrata
Lidia Menapace. Diritto di sciopero ecc.
30 Luglio 2015
   

Il diritto di sciopero non è regolato dal governo (per fortuna costituzionale) e non è paritario (ad esempio i datori di lavoro non hanno il diritto di serrata) perché è uno strumento di lotta di chi si trova in condizioni sociali di debolezza rispetto alla controparte.

Ciò detto, ricordando a Renzi che certe volte è meglio stia zitto, perché non venga in mente a nessuno di rammentargli il popolare proverbio: “la prima gallina che canta è quella che ha fatto l'ovo”, ciò detto dunque, è vero che particolari questioni di opportunità si pongono quando uno sciopero è nei servizi pubblici, perché la controparte viene colpita meno dell'utenza, che non ha né colpa né merito, né soprattutto potere in merito; dunque scioperare contro i visitatori dei musei ecc. sembra un po' scemo.

E può indurre -se ripetuto- l'opinione pubblica a volgersi verso chi vorrebbe limitare o vietare il diritto. Pericolo analogo a quello provocato da chi soffia sul fuoco dei disagi conseguenti a una cattiva gestione delle migrazioni che -appunto non condotte al livello di integrazione possibile (cosa della quale di recente ho parlato)- producono razzismo selvaggio e crudele.

Ma allora: che fare? Ad esempio non dimenticare mai di dare annuncio per tempo e diffuso all'utenza. Ad esempio cercare forme di lotta che danneggino la vera controparte e non o il meno possibile l'utenza. Penso che in musei, gallerie, palazzi, siti archeologici e simili sarebbe molto significativo dare i biglietti e gestire regolarmente gli ingressi, senza però far pagare il biglietto, per documentare quanto ci rimette la pubblica amministrazione se i custodi scioperano. I sindacati potrebbero in questi casi darsi da fare perché chi partecipa a uno sciopero al contrario (per così dire), non abbia conseguenze: con il job act (vero strumento antisindacale) non si sa mai.

Vorrei a questo punto dire la mia (mi scappa, è una troppo golosa chicca in questa stagione triste e pericolosamente noiosa) sulla recente sentenza della Cassazione che obbliga le scuole dette paritarie a pagare l'affitto per gli edifici che usano. Che sia stato il Comune di Livorno a provocare la detta sentenza non guasta, l'anticlericalismo nella cultura popolare toscana è noto e divertente: approfitto per dire che peraltro è innocuo e non fa male a nessuno, prova ne sia il fatto che le più gustose barzellette anticlericali le inventano da sempre i Gesuiti.

Poiché la ministra al ramo ha subito detto che c'è materia di riflessione, prendiamola in parola: sarebbe la prima volta che la sentiamo partecipare a un dibattito e dire che cosa è mai per lei la scuola. Naturalmente i Vescovi non hanno bisogno di riflessione e hanno subito pronta la loro risposta “moderna” e “compassionevole”: infatti dicono che la sentenza della Cassazione è ohibò “ideologica” (ma le sentenze si commentano? ho in testa un ricordo diverso in proposito, che Vescovi distratti). Oppure stanno ergendosi di fronte alla violazione di un diritto non negoziabile (quello di non pagare l'affitto), che sarebbe bene infatti ricordare a difesa dei moltissimi e moltissime cittadini/e sfrattati per morosità. Ma proclamano a parte i Vescovi, se non pagano gli affitti, usano quello che alcuni degli economisti neoliberisti chiamano “capitalismo compassionevole”: un po' di assistenza, in parole povere, può ben sostituire i diritti. Sarebbe un ritorno allo stato assistenziale e al Feudalesimo al posto di quello liberale e del capitalismo, ma via: è per il nostro bene e poi nel Feudalesimo la Chiesa si trova a suo agio, persino ritroverebbe la corporazioni al posto dei sindacati, strumenti del demonio.

 

Lidia Menapace


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