Arte e dintorni
“Ometti oliviani” di Barbarah Guglielmana 
Una recensione di Stefano Savoldelli
18 Aprile 2015
 

Se qualcuno, anche solo qualche mese fa, mi avesse per avventura confidato del piacere che si prova a ruotare le pagine di un libro, credetemi che l’avrei preso per matto. Ed invece, in punto, mi son dovuto sinceramente ricredere quando, di recente, ho letto Ometti Oliviani, un libricino scritto e disegnato dalla poetessa Barbarah Guglielmana. Le robuste pagine del libro, di forma perfettamente quadrata, son tenute insieme da una sola vite posizionata in angolo pagina, in alto a sinistra, che le attraversa da parte a parte, stringendole al punto giusto perché, al tempo stesso, possano sia stare ben raccolte e sia ruotare liberamente. Così, dunque, al lettore che voglia scorrere quel libricino tocca piacevolmente ruotare le pagine, anziché sfogliarle.

Sulla pagina di copertina, in campo scuro, stanno in posizione eretta due esili figure umane, stilizzate, una rossa ed una blu, ove quest’ultima, la più alta delle due, appare piegarsi lievemente verso l’altra, quasi in segno di protezione, sino a che i rispettivi capi giungono a toccarsi impercettibilmente, come se si baciassero: l’immagine, nella sua limpida semplicità, evoca al tempo stesso curiosità, premura, affetto, e riesce quindi nell’intento di istigare il lettore a ruotare la pagina, per scoprire cosa si nasconda oltre.

All’interno del libro stanno rappresentate, con tratto scuro in campo bianco, alcune figure stilizzate d’uomini e donne, di segno e significato così sfuggenti dall’apparire, al tempo stesso, innocenti, essenziali, contorte, candide, primitive, semplici, misteriose, impenetrabili; un solo elemento le accomuna: tutte quelle figure stanno silenziose sulla pagina, in attesa d’esser comprese. Il lettore attento apprende allora che per poter vedere oltre il segno deve scorrere quelle immagini con estrema lentezza (ruotando le pagine, non a caso), soffermandovisi a più riprese per scrutarne attentamente la linea, il contorno, gli spazi, l’alternanza di bianco e nero: un esercizio umile e non facile che tuttavia, infine, ripaga il lettore, portandolo a comprendere che il significato di quelle immagini, certo oscuro alla superficiale vista, è tuttavia ben visibile a chi riuscirà e capirà di doverle leggere, semplicemente, con il cuore.

Solo allora, dunque, al lettore viene svelato il messaggio che quelle singolari forme vogliono raccontarci: la narrazione senza tempo della meraviglia e del mistero della vita, e di ciò che anima e muove gli uomini e le donne che l’attraversano: morte, felicità, paura, innocenza, solitudine, sincerità, tristezza, gioia, disperazione. Un minimo comune denominatore lega quelle immagini: tutte, sono figlie dello sguardo puro, non corrotto, con cui Barbarah scruta ed attraversa l’esistenza, amandola incondizionatamente. Eroi, e null’altro, son coloro i quali riescono a percorrere la vita osservandola, sempre e comunque, con sguardo innocente. Barbarah, ai miei occhi (ed al mio cuore), è una di loro. Spero che dopo la lettura di “Ometti Oliviani”, possa esserlo anche per Voi.

 

Stefano Savoldelli


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