Archeologia editoriale
Antonia Pozzi. Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938/ 16.
Gennaio 1936. Monte Piana
Gennaio 1936. Monte Piana 
16 Febbraio 2015
 

Pasturo, 2 luglio 1938


Carissima Nena cara,

eccoci qua, finalmente: scampate al caldo irrespirabile di Milano. (irrespirabile a rigor di termini, più per la mamma che per me, perché io non lo soffro e dicono anche che col caldo le ferite si rimarginano prima). Siamo arrivate ieri sera all’ora di pranzo. Il viaggio non mi ha affatto stancata ed ho mangiato con grande appetito, gustandomi una bella bistecca di filetto, di quelle che si trovano solo qui e vanno tutte in sangue. Ormai infatti è solo una questione di sangue, dato che l’operazione mi ha molto anemizzata (non per la ferita in sé, che è minuscola, ma per quello che i medici chiamano “choc operatorio”); e credo che col cambiamento d’aria, col vitto sano e con un potente ricostituente ordinatomi dal dottore, mi potrò rimettere presto. La cicatrice è ormai perfettamente chiusa e scolorita, saranno 2 centimetri e ½ al massimo, e l’indurimento che c’è sotto scomparirà a poco a poco. Dicono che il cambiamento di tempo causi qualche doloretto: e infatti stanotte ne ho sentiti parecchi. Colpa – si vede – dell’orribile giornata che si stava preparando, perché oggi pare il finimondo. Ah! Il Padreterno mi ha proprio riservato un trattamento di favore! Tuona incessantemente come se lassù in Paradiso si stessero svolgendo i campionati di una Bocciofila internazionale. Piove a scrosci intermittenti e rabbiosi che cancellano montagne, boschi, alberi del giardino, tutto. Per fortuna ho dei buoni libri, della lana per lavorare e la radio. E poi, sdraiata sul mio divano, con soffici cuscini dietro la testa, faccio del gran fantasticare e del gran ricordare. Ricordare soprattutto con infinita dolcezza, gli strani e quasi irreali giorni passati in clinica, in un bianco silenzio rotto soltanto dalle campane di S.Maria delle Grazie e dallo stridio delle rondini intorno alla grande cupola rosa. Rivedo i volti gentili e sempre sorridenti delle “sorelline”, coi loro grembiuli azzurri e il passo senza rumore. Rivedo, soprattutto, i volti dei miei cari chini su di me e i fiori splendidi che si alternavano davanti ai miei occhi, col sorriso di tutte le amicizie più fedeli: proprio tutti sono venuti, i miei compagni e le mie amiche, e mi hanno portato perfino degli umili fiori di prato, dei papaveri colti alla periferia e delle margherite di bosco uguali a quelle che colgo io. Queste le ho messe proprio davanti al tuo ritratto e così avevo vicino a me un sogno di tutte le cose più care. Cara cara la mia Nena adorata, la tua lettera è stata per tutti questi giorni sul mio tavolino. Come ringraziarti di quello che pensi, di quello che fai per me? Io a volte sono un po’ “rustega”, per un eccessivo pudore dei miei sentimenti, ma tu sai – non è vero? – che in cima a molti dei miei pensieri, (guarda – ti dico: ai migliori, ai più puri), ci sei tu. Non so come sia, ma tu sei l’unica persona della mia famiglia a cui io mi senta stretta da veri legami di sangue, davanti alla quale io senta la continuità di una razza. Tu mi rappresenti la mia pianura lombarda, malinconica forte e reale, coi rossi tramonti sulle risaie, l’odore caldo di stalla e la terra nera e umida: la pianura che ho potuto tanto poco goduto eppure mi sento nel sangue e verso la quale mi porta la nostalgia, quando, a settembre, le mandrie di qui scendono scampanando dai pascoli alti e come fiumi biondi scompaiono allo svolto dello stradone… cara la mia cara Nena, io avrei bisogno da te di un favore grandissimo. Ci penso da anni. Ci vorranno certo altri anni prima di attuare questo sogno, ma io me lo propongo come lo scopo più alto della mia vita. Tu dovresti mettermi giù, su di un foglio, in ordine cronologico, le date, i luoghi, gli avvenimenti più importanti della tua vita: magari anche delle persone che sei venuta via via conoscendo e non le illustri soltanto. Capisci quello che vorrei fare? Un grande romanzo capisci? (ma non dirlo a nessuno, ti prego). La storia della nostra pianura lombarda, e della vita lombarda dal 70 in poi: e te, donna lombarda per eccellenza. Ma nessuno ti riconoscerebbe, sta' sicura: ambierei tutti i dati esteriori, un figlio e una figlia invece di quattro figlie e chissà quanti altri mutamenti, dato che tutto è ancora un castello in aria e sai che ad ogni riga che si scrive le cose si trasformano. Ma il tuo carattere, come io lo vedo, è degno di essere al centro di un mondo reale e fantastico insieme. Oh certo: magari nelle mie pagine (che forse non scriverò mai) tu stessa non potrai riconoscerti. Ma io non pretendo, anzi cerco di evitare, di fare storia vera: voglio soltanto provvedermi di tutti gli elementi possibili per dare il senso poetico ed eroico della nostra Lombardia nobile, borghese e contadina: proprio uno spacco attraverso gli stati sociali nella continuità del tempo. Nena, ti prego, che nessuno sappia niente: perché è una cosa così lunga e difficile e ci impiegherò tutta la vita e magari non arriverò a capo di niente. Ma, io penso, se Dio mi ha dato quel po’ d’intelligenza e di tendenza allo scrivere, perché continuare a trascurarla e non applicarla invece in uno sforzo unico, che diventi anche il fine morale della mia vita? Come ti ripeto, forse non arriverò a farne niente: ma tu sii buona, comincia ad aiutarmi.

L’averlo detto a te, vedi – per me che ho tanta poca forza di volontà – costituisce già uno sprone per cercare di attuare qualche cosa. Vedi: io l’anno venturo verrò spesso da te e parleremo a lungo di tante cose. Tu ti ricorderai ad alta voce. Non come per il Sig. Ezio Flori, per carità! Di Tommaso Grossi non voglio saper niente o, per lo meno, quello che so mi basta. Voglio sapere come erano i mobili della gran fattoria vicino Cremona, il colore dei cavallini che domavi, l’odore delle camerate in collegio e di che stoffa erano i vostri grembiali. Capisci? Voglio l’aria del tramonto a Motta Visconti, a Treviglio, a Desio: e come erano i primi stabilimenti e le prime biciclette. Tu non farai che darmi la materia prima, per tutti gli anni in cui non ho vissuto e al resto ci penserà la mia fantasia. Vuoi essere la mia collaboratrice, Nena cara? E poi, naturalmente, se verrà fuori, il libro sarà tutto dedicato a te. Ma non pensiamo alla meta: è troppo troppo lontana. Per ora mi basterebbe di poter cominciare a lavorare sul serio.

Cara Nenona, questa lettera è diventata una specie di romanzo; ma ciò ti provi che il mio stato di salute è davvero buono, e quello del mio umore anche. Dunque aspetto – ma con tutto tuo comodo, senza – per carità! – affaticarti – il tuo “ curriculum vitae”. E per intanto ancora il mio grazie per tutta la tua bontà e un mondo di baci

La tua Antonia

 

 

 

Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938

A cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino

Con un saggio di Marco Dalla Torre e postfazione di Tiziana Altea

Ancora, 2014, pp. 392, € 26,00

 

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