Diario di bordo
Erveda Sansi. Prevenire la violenza 
Conoscere per capire. Conoscere per agire
07 Febbraio 2015
 

Purtroppo il 2014 ha ancora visto un aumento dei femminicidi, anche se in Italia la mancanza di dati ufficiali non ci permette di conoscere a fondo il fenomeno e ancora mancano soluzioni serie e concrete. Da un anno è scaduto il Piano Nazionale Antiviolenza sulle donne e ci si chiede quando verrà attuato un vero Piano di Azione condiviso con le organizzazioni che lavorano sul tema. Un primo passo è stato fatto: la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, (cosiddetta Convenzione di Istanbul) è stata ratificata in Italia nel 2013 ed è entrata in vigore nel 2014. Ma la stessa Convenzione, insieme alle raccomandazioni CEDAW-ONU del 2011 indirizzate all’Italia, e quelle della Special Rapporteur – Onu sulla violenza del 2012 prevedono e richiedono politiche che sostengano la prevenzione, risposte adeguate alle donne vittime di violenza, una preparazione adeguata degli operatori e dei cittadini, la creazione di una nuova cultura rispettosa delle differenze, la raccolta dei dati e il riconoscimento del sapere e del ruolo delle organizzazioni culturali e delle donne impegnate da anni su questo grande problema politico.

Ogni anno oltre cento donne vengono uccise in Italia da uomini che nella maggioranza dei casi conoscevano o con cui, spesso, avevano avuto una relazione affettiva. Il numero delle vittime è in allarmante aumento. Fa notizia il fatto di cronaca nera, più volte riproposto: solo allora riceve quell’attenzione che forse, prima, avrebbe potuto salvare la vittima. Chiamarli omicidi passionali o raptus è sbagliato e fuorviante. L’uccisione della donna non è infatti che l’ultimo atto di una serie di episodi di violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e rappresenta nel mondo la prima causa di morte delle donne in età tra i 16 e 44 anni (dati OMS); è prevalentemente esercitato da persone conosciute dalla vittima. La nuova categoria criminologica femmicidio o femminicidio è stata diffusa per la prima volta da Diana Russell nel 1992 in Femicide: The Politics of woman killing e nomina la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “perché donna”. «Il concetto di femmicidio si estende aldilà della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine».

Femminicidio è per Marcela Lagarde «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».

Fu una scelta politica: la categoria criminologica del femminicidio introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e consentiva di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare l’efficacia delle risposte educative e rieducative.

Barbara Spinelli, avvocato, autrice del libro Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, spiega il femminicidio disegnando un quadro generale del tema fatto di numeri e storie di donne che dopo ripetute richieste di aiuto rimaste inascoltate sono state uccise: «La percezione di inadeguatezza della protezione da parte delle sopravvissute al femminicidio in Italia risponde a un problema reale, confermato dai dati ormai noti: 7 donne su 10 avevano già chiesto aiuto prima di essere uccise, attraverso una o più chiamate in emergenza, denunce, prese in carico da parte dei servizi sociali».

In particolare in Italia abbiamo un sistema giuridico che era profondamente patriarcale, dove le riforme politiche e legislative negli anni non hanno modificato i pregiudizi di genere e c’è il continuo rischio della chiusura dei centri antiviolenza in Italia per la totale mancanza di fondi elargiti da parte dello Stato per tenerli in vita. L’Italia è al 72° posto su 132 per quanto riguarda le pari opportunità.

Si deve provare a rompere il silenzio senza il quale molte donne si sarebbero potute salvare e che avvolge tante violenze che non fanno notizia. Dobbiamo parlarne non per lo scalpore che suscita la notizia giornalistica, ma per porci domande e ipotizzare risposte politiche e strategiche. Parliamone, per interrompere un silenzio quasi inconsapevole e involontario. Parliamone, per imparare l’una dall’altra e per imparare a riconoscere qualcosa che non avevamo avvertito prima o che avevamo semplicemente voluto dimenticare. Scopriamo di essere state zitte per vergogna o per timore anche su episodi molto più gravi che abbiamo cercato di cancellare, ma che ci hanno lasciato un segno. Parlando tra noi comprendiamo che associare le violenze alle varie definizioni dei responsabili come mostri, disturbati mentali, persone in preda a raptus e affette da devianze, sia estremamente pericoloso, stravolge la verità. Come scrivono Murgia e Lipperini: «Il tentativo di rubricare a patologia la reazione violenta degli uomini davanti al cambio degli equilibri sociali tra i generi è un modo per evitare di ragionare sulle radici culturali della violenza o anche solo per non ammettere che esistano. Che dietro le azioni violente degli uomini sulle donne ci siano disturbi psichici è opinione comune consolidata dalla cronaca mediatica, che propone continuamente una lettura clinica sulla spinta al femminicidio». Una lettura simile è stata data da gran parte dei media ad atti di violenta ferocia come quelli che hanno cercato di minare la libertà di espressione della redazione di Charlie Hebdo: in gran parte degli strilli delle notizie sulla strage di Parigi si parla di “follia del terrorismo islamico”, “si tratta di una follia”, “follia a Parigi”, “pazzia omicida dei terroristi” ecc. e solo pochi hanno cercato di capirne la logica attraverso un’analisi sociopolitica ed economica.

Parlando tra noi vediamo più chiaro, l’amore che spesso nutriamo per gli aguzzini nostri, delle nostre figlie, delle nostre amiche, il timore del giudizio e di non essere ascoltate e credute, la paura delle ritorsioni minacciate dai molestatori, la vergogna del sentirsi colpevoli di essere attraenti e percepite come creature fragili e “a disposizione” che ci viene da lontano, sono la prima trappola che genera quel silenzio che troppe volte uccide il corpo e mortifica lo spirito.

Come ha sostenuto Bordieu, il dominio maschile sulle donne è la più antica e persistente forma di oppressione esistente.

È l’esercizio di potere che l’uomo e le società patriarcali esercitano sulla donna, affinché il suo comportamento risponda alle aspettative dell’uomo e della società: ogni violenza e ogni forma di discriminazione viene esercitata nei confronti della donna che disattende queste aspettative. Questa forma di controllo annienta l’identità della donna, assoggettandola fisicamente e/o psicologicamente, economicamente, giuridicamente, politicamente, socialmente. Il femminicidio è la punizione quotidiana per ogni donna che non accetta di ricoprire il proprio ruolo sociale, è il principale ostacolo alla autodeterminazione e al godimento dei diritti fondamentali di più di metà della popolazione mondiale.

 

Per trovare aiuto:

comecitrovi.women.it

Lecco: www.telefonodonnalecco.it 0341 363484

Sondrio: www.tuaelealtre.it 0342 660216 cell. 348 3141995

Bibliografia minima:

Lipperini, Murgia, L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!, Laterza

Barbara Spinelli, Femminicidio.Dalla denuncia sociale al riconoscimento internazionale, Franco Angeli

Roberto Bolaño, 2666: La parte dei delitti, Adelphi

Gaspar de Alba, Alicia, Il deserto delle morti silenziose, La nuova frontiera.

 

Erveda Sansi

(da 'l Gazetin, gennaio 2015)

 

 

 

Illustrazione

PROBLEMA (donna che parla). RISOLTO (donna gettata via).

Immagine presa da Lunanuvola's Blog di Maria G. Di Rienzo


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276