Lo scaffale di Tellus
Marisa Cecchetti. “A testa in giù” di Elena Mearini
03 Febbraio 2015
 

Elena Mearini

A testa in giù

Morellini Editore, 2015, pp. 128, € 9,90

 

È una cosa strana “scambiare i sassi per le nuvole e credere di camminare in cielo con i piedi in terra. Gli altri si spaventano a vedere uno che capovolge il mondo. Lasciarlo fare significa ritrovarsi a testa in giù, vivere alla rovescia e dover imparare tutto dal principio”. Così pensa Gioele, un giovane “picchiato in testa” – come pensano gli altri – che vive in un istituto dove si curano i disturbi mentali.

Elena Mearini dà voce a Gioele, un arabesco di pensieri profondi e leggeri, che prendono forma attraverso un linguaggio fantasioso, metaforicamente ricco come quello dei bambini, pulito, colorato, visibile. I medici lo definiscono un soggetto restio al contatto, i terapeuti cercano di cavargli una parola di bocca invano. Gioele ha scelto il silenzio della parola, ma cerca il rumore con ogni oggetto gli capiti in mano, e batte un ritmo sempre uguale: “Dato che la mamma non mi capiva e papà non aveva mai tempo di ascoltare preferivo ricacciare le parole in bocca, al caldo del palato”.

La madre è terrorizzata dalle stranezze del figlio, non lo capisce, lo punisce severamente se lascia dei segni sul pavimento, lo costringe a penitenze da oscurantismo religioso: “Gioele, non hai niente di buono, neppure il nome. Ogni volta che ti chiamo è solo dolore”.

Gioele ammirava il lavoro di restauratore del padre: “Io mi mettevo seduto sopra la moquette, lo guardavo togliere la crosta degli anni, uguale a quella che si forma sopra il ginocchio quando cadi e te lo sbucci”. Ma il padre non si accorge dei bisogni di Gioele, perché lui stesso è stato deprivato d’affetto.

Attenzione, ascolto, accettazione, ricerca di strade nuove insieme, fondamentalmente dedizione ed amore, sarebbero le terapie giuste, e quando in famiglia mancano, la soluzione non può stare nelle terapie di un istituto specializzato. Gioele non collabora, ma ha le sue soluzioni personali per trovare la luce che gli manca: “Mi bevo il giallo delle uova, altro che minestrone. Io mando giù il sole così, nudo e crudo come il cielo l’ha fatto”.

Ma Gioele si scontra con un’anziana donna -sfortuna che si trasforma in fortuna- un giorno che è fuggito con Domingo, il maggiolone pronto sul piazzale, e allora alla sua voce si aggiunge quella di Maria, che diventa sua compagna di viaggio, affabulatrice, complice, in una avventura di ritorno al passato.

Lei parla e lui la vuole ascoltare, perché ciò che lei racconta ha il calore della terra, ha il volto della fatica, ha l’emozione dell’amore, il dolore della rinuncia, è la vita vera di cui Gioele scopre lentamente il sapore, strappandone via con ferocia l’erba maligna che l’ha sempre impestata. E allora le sue mani si lasciano toccare e le parole lentamente, poche alla volta, acquistano il diritto di volare nell’aria.

A poco a poco l’anziana e il ragazzo scoperchiano un mistero che li coinvolge, un regalo che restituisce qualcosa di grande e impensato alla vita di entrambi, che dà a Gioele la forza di affrontare in modo nuovo il suo futuro, a Maria di accettare con benevolenza i capricci strani che ha cominciato a fare il suo cuore. Ora il mondo si è davvero rovesciato.

 

Marisa Cecchetti


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