Il mortaio
Renato Ciaponi. Non solo Bitto 
Si è tenuta la XV edizione del “Matüsc di Barilocc”
28 Novembre 2014
 

Tredici forme di Matüsc hanno partecipato alla 15ª edizione del concorso “Matüsc di Barilocc”, tenutasi sabato 22 novembre ad Albaredo organizzata dalla proloco di Albaredo all'interno della manifestazione “I colori del Bitto”. Tredici agricoltori/casari che ancora producono nei maggenghi di Albaredo un formaggio particolare, autentico: il tipico prodotto di un’agricoltura sommersa, familiare, microaziendale, derivante da un’utilizzazione razionale del maggengo.

Vincitore del concorso è Ivo Mazzoni del magggengo Piazz, ma soprattutto vincitore è un formaggio a latte crudo che rappresenta una parte della storia casearia della nostra valle. Formaggio antichissimo il cui nome potrebbe derivare da Matte, parola tedesca che significa telo, ma qualcuno fa risalire il nome a matto, un latte matto, troppo magro.

Il Matüsc di Barilocc è classificabile a livello storico come un formaggio prodotto unicamente per l’autoconsumo familiare, nei maggenghi del territorio di Albaredo, i nuclei di baite sui versanti di mezza montagna. Qui molta gente del paese trascorreva i mesi primaverili e autunnali dell’anno, prima e dopo la pratica dell’alpeggio, con pochissimo bestiame. A differenza dell’alpeggio, dove il numero elevato del bestiame permetteva di avere a disposizione una notevole quantità di latte sufficiente per produrre quotidianamente due lavorazioni di Bitto, nel maggengo il quantitativo giornaliero di latte era notevolmente inferiore. Il latte era quindi portato nella “budülera”, fino al raggiungimento di una quantità adeguata per poterlo trasformare in Matüsc, dopo un’opportuna e generosa scrematura per produrre il burro.

La budülera era un piccolo edificio in pietra il cui pavimento era attraversato da un piccolo canale dove scorreva l’acqua. Era costruito in prossimità di sorgenti o di piccoli corsi d’acqua. Qui venivano messe delle grosse conche in rame, appoggiate sull’acqua corrente che permetteva la conservazione del latte e nello stesso tempo ne permetteva l’affioramento della crema. La scrematura era fatta ovviamente a mano e la sfioratura della panna era molto pesante per recuperare il più possibile panna. Il burro era un prodotto di elezione dell’attività casearia valtellinese che all’inizio ‘900 aveva un prezzo di circa il 30% superiore a un formaggio Bitto di buona qualità e che era accessibile unicamente alle famiglie più ricche.

E ancora oggi, nella valle di Albaredo, non solo Bitto, ma anche questo “piccolo” formaggio che tra l’altro ha avuto il riconoscimento regionale di PAT (prodotto agroalimentare tradizionale) e che è apprezzato per le sue caratteristiche organolettiche, in particolare per il basso contenuto di grasso derivante da una forte scrematura del latte. Un formaggio che potrebbe essere valorizzato come un formaggio dietetico, vista la sua tradizione di formaggio povero, fatto con un latte il più possibile magro per poter produrre anche quel mezzo chilo di burro che era subito venduto per poter avere qualche soldo.

Un formaggio la cui valorizzazione permetterà la rivalutazione dei maggenghi, territori sempre più in via di abbandono, che invece qui, in questa valle, godono ancora dell’apprezzabile presenza dei contadini e soprattutto dello sfalcio dell’erba di montagna utilizzata per l’alimentazione del bestiame presente.

 

Renato Ciaponi

(da Il gusto del gusto, 27 novembre 2014)

 

 

P.S. A questo formaggio è stato dedicato anche un sentiero, il Sentiero del Matüsc, che consente di toccare i più tipici maggenghi e alpeggi legati alla sua produzione e che ha uno sviluppo ad anello partendo da Albaredo. Descrizione dettagliata del sentiero su: www.paesidivaltellina.it


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