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Geo Vasile: Mario Luzi ovvero anelito di un’epica salvezza 
Omaggio di un italianista romeno a Mario Luzi
31 Ottobre 2014
 

La formula Letteratura come vita che definisce l’ermetismo fiorentino, assume nella lirica di Mario Luzi il sembiante più originale e il significato più profondo. Fin dall’esordio degli anni trenta, la poesia di Mario Luzi si configura infatti come una sorta di conoscenza tramite «cifre e sfavilìi», oppure con le parole di San Paolo: «videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad facies». Così Mario Luzi e le sue poesie si confrontano all’inizio con le forme oscure, distorte, confuse del mondo sensibile riflesso da uno specchio, ma per fede amore e speranza riusciranno poi a vederle faccia a faccia. L’essenza trascedentale del mondo va essere rivelata per un linguaggio destinato ad esprimere per mezzo di segni una realtà più profonda, quella della salvezza. La trascendenza stessa, insieme all’intuito d’origine cristiana, offre i segnali di uno sconfinato evolversi della Creazione, di una sconfinata, eppur misteriosa offerta del Creatore fatta al mondo. L’esegesi italiana considera Mario Luzi, nato cent’anni fa, una delle vette della poesia cristiana europea. Colui che tenta di capire il male quale principio che sfugge all’intelligenza umana, di avere un dialogo con Dio, rivendicando il suo diritto di conoscere tramite domande le risposte dell’Onnipotente, non esita a formulare il proprio credo etico ed estetico: «ho vissuto il cristianesimo come una via di ricerca, di perfettibilità. Il Vangelo è una sveglia che non ti permette mai di languire»

Solamente nella seconda tappa della sua opera, Luzi, nel suo tentativo di interpretare «l’occasione metafisica del mondo», va confrontandosi con un mondo sfigurato e disfatto in cui è sempre più difficile riconoscere il sigillo divino. L’ottimismo, la prospettiva di fiduciosa attesa, che distinguevano la prima tappa della sua poesia, si lasciano sostituire da una voce che presagisce l’anelito di una «epica salvezza» tramite un’umana avventura sempre più straziante (siamo già negli anni della seconda conflagrazione mondiale). È così che interviene nell’opera del poeta quella svolta, da lui stesso qualificata quale passaggio dallo stato di contemplazione alla discesa verso i problemi ineludibili e urgenti del mondo, cioè, citando una sua silloge del 1963, La discesa nel magma, la sua vera rottura dalle procedure della tappa anteriore. Diamo la parola al poeta con due testi tratti dal volume appena ricordato:

 

Ridotto a me stesso?

Ridotto a me stesso?

Morto l'interlocutore?

O morto io,

l'altro su di me

padrone del campo, l'altro,

universo, parificatore...

o no,

niente di questo:

il silenzio raggiante

dell'amore pieno,

della piena incarnazione

anticipato da un lampo? -

penso

se è pensare questo

e non opera di sonno

nella pausa solare

del tumulto di adesso...

 

 

Să fi rămas chiar singur?

Să fi rămas chiar singur?

Să-mi fi murit convorbitorul?

Sau eu sunt mort,

celălalt deasupra mea

stâpân al câmpului, celălalt,

desmărginit, nepărtinitor…

sau nu,

nici vorbă de aşa ceva:

tăcerea radioasă

a iubirii depline,

a încarnării depline,

prevestită de-o fulgerare?-

mă gândesc

dacă asta înseamnă-a gândi

iar nu o faptă a somnului

în pauza solară

a chinului de-acum…

 

 

L'ultima poesia

Il termine, la vetta
di quella scoscesa serpentina
ecco si approssimava,
ormai era vicina,
ne davano un chiaro avvertimento
i magri rimasugli
della tappa pellegrina
su alla celestiale cima.
Poco sopra
alla vista
che spazio si sarebbe aperto
dal culmine raggiunto...
immaginarlo
già era beatitudine
concessa
più che al suo desiderio, al suo tormento.
Sì l'immensità, la luce
ma quiete vera ci sarebbe stata?
Lì avrebbe la sua impresa
avuto il luminoso assolvimento
da se stessa nella trasparente spera
o nasceva una nuova impossibile scalata...

 

 

Ultima poezie

Sfârşitul, piscul

acelei prăpăstioase serpentine

iată-l apropiindu-se,

deja în preajmă,

îl prevesteau neîndoielnic

puţinele resturi

ale etapei peregrine

sus spre culmea cerească.

Puţin mai sus

privirilor

ce spaţiu s-ar fi deschis

de pe vârful atins...

a-ţi închipui

era deja beatitudine

îngăduită

mai curând decât dorului, chinului său.

Da desmărginirea, lumina,

dar tihnă-adevărată ar fi existat?

Acolo ar fi avut loc aventura sa

odată dobândită luminoasa dezlegare

de sine însăşi în străvezia nădejde

sau se năşteao nouă imposibilă ascensiune..

 

 

(versione romena Geo Vasile)


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