Diario di bordo
Claudia Osmetti. Anche Ebola ci ricorda la necessità degli Stati Uniti d’Europa
16 Ottobre 2014
   

È l’epidemia più preoccupante degli ultimi quarant’anni. Parola dell’Organizzazione mondiale della sanità: oltre 4mila decessi e quasi 10mila contagi, Ebola fa paura. Anche perché le risposte dei Paesi occidentali non sembrano all’altezza della situazione: lo ha ricordato fin troppo bene il presidente statunitense Barack Obama quando ha chiesto un maggiore impegno delle forze in campo.

Così succede che anche l’Europa s’interroga. Alla vigilia del vertice di oggi dove si discuteranno protocolli di sicurezza e misure anti-virali, Bruxelles raccomanda di rafforzare i controlli in uscita dai Paesi dell’Africa occidentale per evitare il passaggio di Ebola nel Vecchio Continente. Niente di strano, sembra addirittura un’idea sensata. Finché non ti viene in mente che l’Ue non può chiedere lo stesso in tema di controlli in entrata, ossia su tutti quei passeggeri e viaggiatori che quotidianamente varcano il confine comunitario per andare a Londra, Parigi, Berlino, Roma, eccetera.

Perché? Presto detto: l’Unione Europea non è mai riuscita a creare una politica estera comune (miraggio che non ha, negli anni, legittimato l’entusiasmo di un Alto Funzionario in questo senso, lady Pesc Mogherini compresa). Il risultato è che, allo stato dei fatti, tutte le misure di prevenzione per il fattore Ebola restano di competenza dei singoli Stati membri. E va da sé che non hanno dimostrato grande coordinazione nemmeno in questo caso.

Anche Ebola ce lo ricorda: Stati Uniti d’Europa subito.

 

Claudia Osmetti

(da RadicalWeb, 16 ottobre 2014)


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