Oblò mediorientale
Asmae Dachan. Isis e Assad: il tempismo del terrore per seppellire altro terrore
28 Agosto 2014
 

Le immagini* della decapitazione del giornalista americano James Foley (foto) per mano dei terroristi di Isis hanno sconvolto e inorridito il mondo. A seguito della diffusione del video c’è stata un’ondata di reazioni a livello internazionale, che hanno portato Isis e i suoi crimini al centro dell’attenzione dei media e della politica internazionale. Come se Isis sia un’emergenza. Come se Isis sia una novità.

La realtà è che Isis (in arabo Daesh, acronimo di Islamic State of Syria and Iraq) esiste da oltre un anno e mezzo e ha già commesso un’infinità di crimini indicibili in Siria. Nel mirino di questi fanatici mercenari – provenienti da diversi paesi, formati, addestrati e armati da governi conniventi, in primis quello di Bashar Al Assad – ci sono civili inermi, bambini, donne, giovani, religiosi, medici, giornalisti, volontari, ma anche i ribelli che combattono contro le milizie di Damasco. Le denunce che da mesi e mesi vengono fatte in Siria contro la violenza e la brutalità dei crimini di Isis non sono mai state ascoltate e solo ora che questi mercenari sono una potenza militare fuori controllo si lancia l’allarme.

Un allarme quasi ad orologeria. C’è un tempismo, infatti, che non bisogna trascurare. Andiamo per ordine.

Secondo la denuncia di attivisti siriani e la ricostruzione di diverse fonti, il giornalista James Foley, entrato in Siria clandestinamente, rapito mentre si trovava in una località tra Binnish e Maaret Nisrin, vicino e Idlib, in Siria, nel 2012, è stato detenuto nelle prigioni del regime per oltre un anno. All’epoca dei fatti Isis non esisteva ancora e quanto meno non aveva la forza e il controllo sul territorio che ha ora. Foley aveva scelto di raccontare il dramma siriano dal punto di vista dei civili presi di mira dall’esercito di Assad. Aveva realizzato reportage raccontando del Movimento studentesco rivoluzionario, delle manifestazioni anti-governative a Bustan Al Qasr, Aleppo, degli scontri tra le milizie governative e i ribelli. Il suo punto di vista era quello della Siria anti-Assad, quindi era considerato un nemico del regime. Dal 2012 silenzio, fino alla presunta cessione del reporter americano dalle mani del regime alle mani di Isis; si è parlato anche di un bliz fallito delle Forze statunitensi per liberarlo. Infine il video, diffuso il 19 agosto scorso, della sua macabra esecuzione tramite decapitazione. Immagini raccapriccianti, spietate. Sull’autenticità del video le autorità americane non si sono ancora espresse, mentre si moltiplicano in rete analisi e controanalisi di esperti che commentano in un senso o nell’altro. (Si veda qui). Il fatto stesso che un giornalista sia stato sequestrato, che sia stato trattenuto per così tanto tempo, che di lui non si siano avute più notizie è gravissimo, disumano, inaccettabile. Un atto criminale. La sua uccisione ha scioccato il mondo, dagli attivisti siriani che lo hanno conosciuto e hanno collaborato con lui al mondo della stampa tutto. Il video ha provocato un’ondata di indignazione che ha toccato anche la politica internazionale. Un’esecuzione disumana, orribile, degna dei peggiori criminali. James Foley era un giornalista, un testimone della verità che ha contribuito a denunciare i crimini del regime siriano. «Non siamo mai stati più orgogliosi di nostro figlio Jim. Ha sacrificato la sua vita per far conoscere al mondo la sofferenza della popolazione siriana» ha dichiarato la madre Diane Foley.

Dicevamo del tempismo. Il video è stato caricato e diffuso in rete il 19 agosto. Quel giorno e per tutti i giorni successivi la notizia del giornalista americano decapitato e dei crimini di Isis ha occupato le prime pagine dei media internazionali e le agende della politica e dell’intelligence mondiale. Anche il 21 agosto, giornata in cui, per coerenza con i valori della solidarietà, del ripudio della violenza e del terrorismo, delle armi di distruzione di massa e dei crimini contro l’umanità, il mondo avrebbe dovuto quantomeno commemorare le oltre 1.460 vittime degli attacchi chimici su Al Ghouta, in Siria. Invece il silenzio. Invece l’oblio. Né i media, né la politica hanno ricordato e condannato l’attacco. Di quelle 1.400 vittime circa la metà erano bambini colti nel sonno. Uccisi in maniera spietata, senza colpa alcuna. Migliaia e migliaia sono le persone rimaste intossicate che non hanno trovato cure adeguate negli ospedali da campo. A distanza di un anno le conseguenze dell’attacco sulla popolazione civile si fanno sentire in modo terribile: sono ormai decine i bambini che nascono completamente deformati (molti muoiono poche ore dopo il parto) in conseguenza dei gas inalati dalle madri. L’attacco è stato messo in atto dall’aviazione di Assad, l’unica forza in campo a detenere velivoli capaci di gettare armi di quel peso e a detenere riserve chimiche di così grande portata; la propaganda di Assad ha giocato fino in fondo la sua guerra mediatica, accusando i ribelli di essersi bombardati da soli.

Oltre 1.400 vittime innocenti, disarmate e indifese. Per loro solo fosse comuni. I loro nomi scritti su nastro adesivo attaccato ai loro corpi. Per loro solo l’oblio. A ricordare il massacro di Al Ghouta con le armi chimiche solo gli attivisti siriani e le donne e gli uomini in ogni zona del mondo che non si sono voltati dall’altra parte. Si veda la documentazione delle manifestazioni di volontari e attivisti che si sono svolte in diverse città del mondo. Nessuna autorità presente, nessun servizio o titolo di giornale. Oblio voluto.

È il tempismo del terrorismo: commettere un’atrocità abominevole per nascondere, affossare, insabbiare e dimenticare un’altra atrocità. Un punto a favore della propaganda di Assad che è così riuscita a distogliere l’attenzione da questo suo atroce crimine.

 

Asmae Dachan

(da Diario di Siria, 24 agosto 2014)

 

 

* Che qui omettiamo (il video è, eventualmente, reperibile sul blog dell'autrice), ndr.


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