In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini 
Un Cristo marxista, cattolico o soprattutto pasoliniano?
28 Luglio 2014
 

Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini è ritornato in questi giorni agli onori delle cronache. Fu realizzato cinquant’anni fa (e a Matera, dove Pasolini ambientò Gerusalemme, si è inaugurata per la ricorrenza una mostra importante sul film). E l’Osservatore Romano lo ha recentemente definito: probabilmente il miglior film su Gesù mai girato.

Il pronunciamento del quotidiano vaticano suona oggi come un ripensamento. E infatti, all’epoca dell’uscita del film – malgrado l’entusiasmo di alcune frange cattoliche (come la Pro Civitate Cristiana di Assisi o l’Office Catholique International du Cinéma che addirittura gli assegnò un premio) – la stampa cattolica più ufficiale trovò che il film mancasse di senso religioso. Il Cristo di Pasolini sembrava, in sostanza, marxista e non cattolico.

Ma attenzione: anche la critica comunista – salvo eccezioni – accolse il film freddamente. Il fatto stesso di aver tratto un film dal Vangelo sembrò una riprova dell’ambiguità, dell’inaffidabilità o, secondo una categoria in voga allora, delle tendenze “irrazionalistiche” di Pasolini. Una reazione, quella dei suoi compagni, che deluse e ferì Pasolini, al punto che per qualche tempo pensò di abbandonare il cinema.

In effetti egli aveva osservato con rigore il dovere di un artista. Non aveva concepito il film né in obbedienza alla chiesa cattolica né a quella comunista. Aveva obbedito alla propria sensibilità, all’"ispirazione", o, con le sue parole, a “quell’aumento di vitalità” che gli era derivato da una rilettura casuale del Vangelo. Insomma: prima o piuttosto che cattolico e marxista, il suo è un film pasoliniano!

Lo si può già rilevare da un piccolo esempio. Giovanni Battista profetizza la venuta del Messia, mentre battezza gli israeliti sul fiume Giordano. Ed ecco che, nel bel mezzo della sua predicazione – furente, ma anche piena di speranza – tra la piccola folla che lo circonda, si staglia il volto di un giovane che avanza con calma verso di lui. E Giovanni ammutolisce, interdetto, perché in quel volto riconosce il Messia che le sue parole prefiguravano. È un episodio del Vangelo trasposto in immagini. Ma nella lenta avanzata di quel volto – che si rivela in quel momento per la prima volta anche a noi spettatori, nella sua evidente bellezza; nel breve spasimo dell’attesa dell’incontro; e poi nello scioglimento dell’angoscia in un incontro che è anche e comunque un incontro d’amore, c’è una tensione, idealistica ma anche imponderabilmente erotica, che è tutta pasoliniana. E che si ritroverà, più esplicita, in un altro suo film: Teorema, dove un altro giovane, quasi di soprannaturale bellezza, ospite della famiglia di un industriale lombardo, colmerà per qualche giorno quel desiderio di amore, di pienezza esistenziale, che ognuno dei componenti di quella famiglia covava in segreto senza forse saperlo, amando anche fisicamente ognuno di loro.

L’incontro tra Cristo e il Battista è in un primo tempo un incontro di volti e di sguardi.

Ora il film di Pasolini, è stato spesso notato, attinge nella composizione delle immagini a riferimenti pittorici; presenta varie scene di gruppo; l’ambientazione disadorna, quasi documentaristica, è di grande suggestione; e la parola di Cristo, ricavata testualmente dal Vangelo, è a volte fluviale, come nella scena del “discorso della montagna”. Ma forse la pietra angolare del film è nei volti e negli sguardi.

Se il Cristo di Pasolini ci persuade è forse in primo luogo per i suoi occhi, dove sembra brillare, mite, ma inestinguibile, implacabile, la luce di un ideale, che lo sostiene anche nelle prove più dure. Un ideale certamente di giustizia e di amore che egli ravviva in coloro che lo accompagnano e lo ascoltano – quelli almeno che hanno orecchie per ascoltarlo – e che lo guardano a volte incerti e perfino atterriti. Lo ravviva perché, ci sembra, quell’ideale è già in loro, ma oscurato dai pregiudizi, dal conformismo e dalla viltà. Ma quella luce, suggeriscono le ultime parole del film, è un’esigenza irrinunciabile; e durerà finché durerà l’uomo.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 28 luglio 2014)


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