Il blog di Alejandro
Alejandro Torreguitart Ruiz. Un perseguitato chiamato El Sexto
27 Giugno 2014
 

Oggi parliamo de El Sexto, l’imbrattamuri più noto dell’Avana, pure lui un perseguitato, chiaro, ché il governo cubano ha una fifa boia degli idioti che vagano per la città armati di pennello e vernice per scrivere cazzate sui muri. A parte il fatto che El Sexto quelle cazzate le chiama arte, graffiti, roba tipo viva la topa, abbasso gli Industriales, Yanisledi è una gran fica, cose che io le scrivevo da ragazzetto, mi pare, quando frequentavo la scuola secondaria. Ecco, la sua opera più importante è una firma vergata su un cartello stradale, ma pare che abbia persino eluso la sorveglianza dei custodi del museo della rivoluzione per imprimere un graffito sulla facciata. Il museo della rivoluzione è una delle cose più ridicole dell’Avana, ci trovi roba tipo il preservativo usato da Fidel Castro Sierra e le mutande merdose del Che, ma sentir dire dalla bocca di questo pazzo scatenato che lui voleva proprio esserci in quel museo e che adesso ce l’ha fatta, ora è contento, è una cosa troppo divertente, una boiata galattica da incorniciare. La cosa più ganza, però, El Sexto la dice quando si dichiara vittima del regime, un perseguitato, proprio lui che l’hanno arrestato un paio di volte – mai stato in galera, soltanto fermato – ché l’avevano beccato in flagrante a sporcare i muri della capitale di vernice rossa. Sono un artista, dice. Mi perseguitano, conclude. Sulla prima affermazione avrei parecchio da ridire, ché se tu sei un artista mio padre quando imbianca casa ti dà dei punti, sulla seconda, invece, se permetti rido, di meglio non so fare. Sei così tanto perseguitato che t’hanno mandato in viaggio premio a Miami, poi sei andato a studiare in Europa, destinazione Olanda, dalle parti dell’Aia. Volevi perfezionare l’arte del graffiti? E i soldi per i viaggi chi te li ha dati? Domande che si dovrebbero fare a un perseguitato politico, libero di uscire da Cuba e di tornare, oltre al fatto che scarabocchia sui muri ma nessuno lo mette dentro.

Strana dittatura la nostra. Ecco, già che ci sono vi voglio parlare anche di Leonardo Padura Fuentes, ché io sono laureato in lettere, non voglio fare il tuttologo, questa cosa c’è già chi la fa bene, a me non riesce, ma di quel che ho studiato posso parlare. Insomma, dicevo che Padura Fuentes è uno scrittore talmente bravo che al confronto mi sento l’Indio Naborí in versione semplificata per studenti autistici. Padura Fuentes scrive cose pesanti come macigni, controcorrente, ma guarda caso non dice mai d’essere un perseguitato. Padura Fuentes è arte, mica gli sgorbi di questo barbone, intervistato in pompa magna da Yoani Sánchez per 14ymedio, il periodico che arriva dove vuole e quando vuole, difensore degli oppressi e delle vittime di turno, ché sporcare i muri della città è un diritto costituzionalmente garantito in tutto il mondo, mi pare. Padura Fuentes ne Il romanzo della mia vita parla di Heredia, il poeta esiliato, e ha il coraggio di dire che le parole d’un poeta fanno male al tiranno, i suoi versi feriscono più della spada. Padura Fuentes ne L’uomo che amava i cani rincara la dose, ché racconta le atrocità di Stalin e degli stalinisti, narra la vita dell’uomo incaricato di uccidere Trotskij, mette a nudo il patto tra Unione Sovietica e Hitler e tutte le contraddizioni del comunismo. Infine mette il dito sulla piaga di Cuba, si permette di dire che abbiamo sbagliato tutto, che forse non siamo stati guidati da veri comunisti ma da persone assetate di potere, gente che ha seguito un’ideologia sbagliata. Aggiunge che vorrebbe vivere in un mondo dove sia possibile criticare e discutere democraticamente su quel che dobbiamo cambiare.

Ecco, mi pare che siano queste le cose importanti da dire, mica gli sgorbi de El Sexto e le interviste compiacenti di Yoani Sánchez, giramondo senza foglio di via, turista della democrazia, paladina delle cause perse, basta che siano finanziate in moneta convertibile. Ecco, pure io mi sa che sono comunista. Sì, ma comunista come Leonardo Padura Fuentes. Comunista come mio padre. Mi sa che sono comunista davvero, ché il comunismo come dico io non c’è mai stato. Abbiamo i dissidenti più squalificati dell’emisfero australe, ci tocca rivalutare anche i peggiori funzionari del Partito Comunista. Un barbone che si crede artista come El Sexto ti fa venire voglia di far risorgere Stalin. Lui gli avrebbe fatto passare la voglia di scarabocchiare sui muri…

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

L’Avana, 26 giugno 2014

Traduzione di Gordiano Lupi


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