Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Distruzione del Simbolo 
La spiritualitą dei luoghi e il ruolo della religione nella loro salvaguardia e il mantenimento della comunitą in seguito ad un evento catastrofico
08 Aprile 2014
 

All’interno della ventunesima edizione di Restauro “26-29 Marzo 2014 Ferrara Fiere”, dopo il dibattito scaturito in seno alla passata edizione circa la ricostruzione post-sisma del maggio 2012, quest’anno Restauro è tornato a farsi promotore e occasione d’incontri per tutti gli attori coinvolti nelle attività di ricostruzione.

Un importante convegno curato dalla storica dell’arte Letizia Caselli dal titolo “Distruzione del Simbolo. La Spiritualità dei luoghi e il ruolo della religione nella loro salvaguardia e il mantenimento della continuità in seguito ad un evento catastrofico” ha visto la partecipazione in qualità di relatore, di S.E. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevado, delegato del Pontificio Consiglio della Cultura e del Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci.

L’evento sismico che ha colpito l’Emilia-Romagna ha avuto un singolare impatto sul territorio, nell’area del cosiddetto cratere gli edifici maggiormente colpiti, infatti, sono stati quelli con caratteristiche di pregio: torri, castelli, palazzi pubblici e soprattutto chiese e campanili. Fuori dalla regione non se ne è parlato comunque molto, forse anche perché ad essere colpiti sono stati manufatti poco conosciuti, ma spesso di grande rilevanza architettonica e decorativa, rappresentativi della cultura e della tradizione emiliana.

Gli esiti del terremoto hanno messo in crisi il valore identitario di un vasto territorio. Un paesaggio, quello emiliano, che reca i segni di un popolamento antico e diffuso, in cui ogni epoca ha contribuito alla costruzione del quadro attuale. Il rinascimento ha ridisegnato in splendide forme interi paesi, ha costellato il territorio di grandiose ville e parchi sontuosi, in parte ancora esistenti. Gli ultimi secoli hanno lasciato le grandi chiese della controriforma con i campanili spropositati che dovevano ricordare a tutti ed ovunque la potenza della Chiesa e poi i canali, i manufatti idraulici, i caselli del latte, i maceri, le case sparse a “porta a porta”, il mantenimento della proprietà terriera collettiva delle Partecipanze e la modularità delle abitazioni.

L’architettura si presenta spesso con caratteristiche semplificate: le chiese sparse sul territorio o poste all’interno dei centri abitati si articolano con pianta semplice ad aula o tre navate, in facciata sono caratterizzate da modesti rilievi che le scandiscono verticalmente o da ampie paraste che sorreggono sobri timpani triangolari o più raramente semicircolari; i fronti rimarcati da cornici importanti e marcapiani sono talvolta, movimentati da nicchie nude od arricchite da statue, a volte da rilievi e riquadri appena accennati. Queste chiese, dall’aspetto imponente sono spesso strutture fragili, in muratura a vista o intonacata e sono, di norma, affiancate da campanili possenti e isolati o da strutture – più contenute per dimensioni – che s’incastrano tra l’aula ed il transetto un tutt’uno con questo.

Ebbene, sono questi i complessi maggiormente colpiti. Le cause del danno sono molteplici, ma forse la più significativa è stata provocata dalla mancanza di memoria di terremoti precedenti – troppo lontani nel tempo per suggerire un modo di murare più resistenze. Con i crolli si sono evidenziate quasi delle sezioni naturali che hanno consentito di osservare le fasi costruttive degli edifici, ed in particolare la natura dei muri portanti costruiti da due, tre, a volte addirittura quattro pareti adiacenti – composte da mattoni poco cotti murati a correre, con malte povere. Nelle chiese ad aula le travi di legno e le capriate si sono sfilate dagli alloggiamenti e sono precipitate sulle volte di mattoni, provocando pesanti crolli con la conseguente perdita immediata di stucchi e pitture murali. Oltre alle gravi lesioni, per quanto riguarda gli edifici, gli effetti del terremoto sono stati i detriti e le macerie; i campanili per la loro natura e struttura, pur se gravemente lesionati, hanno sostanzialmente resistito ed è stato possibile intervenire pressoché immediatamente per metterli in sicurezza e preservarli dal crollo. Le chiese invece – chi ha potuto vedere l’area del cratere dall’alto, ha paragonato lo scenario a quello di un bombardamento mirato – presentavano e presentano ancora in gran parte cumuli di elementi costruttivi e decorativi crollati, che vanno a costituire il primo ostacolo per gli interventi anche solo di messa in sicurezza, tuttora molto complessa. Ad oggi la preoccupazione, il timore è che la porta di questi edifici venga chiusa definitivamente e che al loro posto vengano innalzate nuove chiese più funzionali ed accoglienti, cancellando la storia del luogo. La necessità di riprendere le celebrazioni non può prevaricare quella del valore culturale ed identitario che le chiese delle “terre vecchie” costituiscono.

Tra quelle chiese, quegli edifici non ci sono esempi paragonabili al Rinascimento fiorentino o al Barocco romano, non c’è il Duomo di Milano o San Marco a Venezia, ma c’è quell’architettura che ci si è rivelata nella sua bellezza dimenticata e nella sua fragilità strutturale e che rappresenta la tradizione e la cultura di quei luoghi.

Ogni intervento di ricostruzione deve essere necessariamente preceduto dalla conoscenza. Dovranno essere presi in considerazione i materiali, la tipologia, il contesto storico-artistico e ambientale, senza mai perdere di vista quella identità culturale che ha reso unico seppur modesto ogni manufatto e, non ultima, deve essere tenuta in considerazione l’affezione a questi luoghi della gente che, ora e in passato, vi ha abitato ed ha qui i suoi ricordi e la ragione di esistere.

 

Maria Paola Forlani


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