Rimeditazioni
Schönborn: creazionismo a braccetto dell'evoluzionismo. Quale guerra e quale pace. Dossetti a dieci anni dalla morte
Giuseppe Dossetti
Giuseppe Dossetti 
16 Ottobre 2006
 

 

L’argomento affrontato un po’ alla brava nel numero di settembre (vedi), quello sulla situazione di vacanza della sede episcopale comasca, la nostra, meriterebbe un lungo e particolareggiato discorso, e non è detto che non ci ritorneremo sopra. Le occasioni non mancheranno.

Per ora e per questa volta basti una sola affermazione riassuntiva. Dopo la centralità riconosciuta al “popolo di Dio” nel documento conciliare sulla Chiesa, la Lumen gentium, non si può più continuare a ridurre lo stesso popolo a semplice spettatore di un evento così importante come la scelta di quello che sarà il suo pastore.

D’altra parte non è raro che l’assegnazione di una persona piuttosto che di un’altra alla tale o tal altra sede, risponda a motivazioni che hanno a che fare più con logiche interne al mondo gerarchico che a un meditato esame delle identità profonde della sede destinataria.

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Un intervento al convegno di Rimini dell’arcivescovo di Vienna cardinale Christoph Schönborn, ha riacceso l’interesse per le sue posizioni sul contrasto, imperversante soprattutto negli Stati Uniti di Bush, tra creazionismo ed evoluzionismo, ambedue tacciati di ideologismo.

S’intravvede – ed era ora – una possibile strada di ricomposizione, se non altro di un dialogo, tra le due posizioni, sfrondate di ogni loro assolutismo o totalitarismo ideologico. Evoluzione e creazione possono benissimo fecondamente convivere.

Vai a farlo capire agli integralisti dell’una e dell’altra parte. Si tratta anche di vedere da quale parte si trovino i più dogmatici e irriducibili. Non è detto e non si può dare per scontato che non siano quelli di parte laica.

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Le vicende israelo-libanesi hanno rimesso in questione il problema della guerra. Io credo però che non basti parlare della guerra o della pace in generale e che occorra portare avanti il discorso fino ad affrontare il problema: quale guerra e quale pace. Non possiamo accontentarci, in questo come del resto in altri campi, di slogans generici che, il più delle volte, ingombrano il terreno ma lasciano il tempo che trovano.

Quella moderna è una guerra che colpisce soprattutto i civili, mentre lascia al sicuro i militari. Ci si può chiedere: quando tutto questo è cominciato? Sulla base della mia memoria personale direi che il punto d’inizio – e, purtroppo, di non ritorno – è stata, alla metà degli anni trenta, la guerra civile spagnola, da parte dell’aviazione nazista, con l’appoggio subalterno di quella fascista. Basti pronunciare un nome, che è diventato un simbolo: Guernica. Quello è stato l’inizio di un modo di fare la guerra che ha poi raggiunto il suo culmine con l’ultima. Pensiamo ai grandi bombardamenti sulle grandi città. Anche qui primi i Tedeschi. Coventry (da cui coventrizzare) ricorda qualcosa? Toccò poi all’altra parte, agli Inglesi e soprattutto agli Americani, portare al massimo – ahimè – del rendimento questa tecnica.

Io c’ero e posso testimoniare dal vivo che cosa vuol dire trovarsi sotto uno di quei grandi bombardamenti. Alludo a quello, che fu decisivo per le sorti del fascismo e dell’Italia, su Milano nell’estate del 1943. Senza parlare di Hiroshima e Nagasaki, con l’aggravante che lì si trattava di sperimentare una cosetta da niente: la bomba atomica.

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Nel decimo anniversario della morte si torna a parlare di Giuseppe Dossetti. Con le arie che corrono c’è più che mai bisogno di un ripensamento della sua figura e della sua storia. Io sono tra quelli che l’hanno conosciuto e goduto, mi si passi l’immodestia, di un qualche suo apprezzamento. Giocava tra di noi anche il legame costituito da alcune amicizie comuni. Penso soprattutto al suo compagno di avventura politica e in certo modo religiosa, Giuseppe Lazzati.

Li univa una capacità nuova o rinascente di coniugare assieme vita attiva (nel loro caso politica) e vita contemplativa, quella che al sorgere dei grandi Ordini del 200, tra i quali il mio, si chiamò vita mista: contemplare et contemplata aliis tradere - contemplare e trasmettere agli altri i beni contemplati.

Ci sarebbe tanto da dire sul ruolo giocato da Dossetti alla Costituente (si pensi anche solo alla parte riguardante i rapporti Stato-Chiesa, di una perfezione, anche artistica, insuperata) e anni dopo al Concilio. Quanto al suo passaggio dalla vita politica e professionale alla vita religiosa con la fondazione di una nuova formazione monastica, io azzardo, con una certa cognizione di causa, una spiegazione di fondo tra le altre: si trattava di operare all’interno del mondo ecclesiastico per un maggiore riequilibrio dei rapporti Stato-Chiesa, spazio religioso e spazio civile, che era stata la croce di tanti di noi oltre che la sua.

Alberto Melloni in un magistrale articolo sul Corriere della Sera di giovedì 7 settembre, ha fatto piazza pulita di tutta una serie di luoghi comuni accumulati sul personaggio. Con, a parer mio, una piccola ma significativa dimenticanza. Quando a proposito, giustappunto, del problema dei rapporti tra religione e politica scrive: «usano e sviliscono lo specifico della vocazione cristiana».

Bisognava aggiungere: dall’altra parte, quella ecclesiastica, usano e sviliscono lo specifico della vocazione politica.

  

Camillo de Piaz

(da Tirano & dintorni, ottobre 2006)


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