Arte e dintorni
Vassily Kandinsky. La collezione del Centro Pompidou
30 Gennaio 2014
 

Si è aperta fino al 27 aprile 2014 a Palazzo Reale di Milano la mostra “Vassily Kandinsky. La collezione del Centro Pompidou”, a cura di Angela Lampe e Ada Masoero. Il percorso dell’esposizione, diviso in sezioni intitolate ai luoghi in cui visse il grande maestro russo, segue passo passo la sua vita, come una grande avventura.

Mosca è la città natale di Vassily Kandinsky. Vi nasce il 4 di dicembre del 1866. Lo ipnotizza fin dall’infanzia: quei suoi tramonti viola, quei cieli da favola, tutti quei colori. Scrive in un libro che dedica ai ricordi, intitolato Sguardi sul passato: «Come il forte finale di un’orchestra gigantesca Mosca risuona vittoriosa. Il rosa, il lillà, il giallo, il bianco, l’azzurro, il verde pistacchio, il rosso fiammeggiante delle case e delle chiese vi cantano la loro partitura insieme all’erba di un verde incredibile… alla neve… alla cinta di mura del Cremlino rosso…» Presto Mosca dove l’ora più bella vede il sole già basso, lo impressionerà anche per le straordinarie forme delle cupole, per i triangoli e i cerchi imperfetti che fondono perfino nello splendore dell’oro il fascino slavo a quello più antico e opaco di Bisanzio. Mosca diventa l’unico quadro a cui Kandinsky sa di poter sempre attingere. Eppure, ancora piccolo, l’artista gira il mondo con i genitori. Nel 1869 va in Italia, dove il nero che trova a Firenze e Venezia, il nero dell’acqua e delle carrozze, il nero delle gondole, lo spaventa e gli si imprime nella memoria come un colore di morte. E a cui contrappone immediatamente il bianco radioso della sua terra. Ma prima ancora di pensare a dipingere, Kandinsky frequenta il liceo a Odessa, prende lezioni di pianoforte e violoncello. Poco dopo, di nuovo a Mosca, acquista la sua prima scatola di colori. Inizia gli studi di legge. Si occupa principalmente di economia politica ma non dimentica mai, anche se il suo impegno è da dilettante, la pittura.

Una volta laureato, sposato con la cugina Anja Čimjakin, deve scegliere: o la carriera universitaria o la pittura. Rifiuta la cattedra che gli viene offerta in Estonia e parte per Monaco. Ha trent’anni ed è deciso a portare avanti gli studi artistici a cui fa seguire costanti e solitari esercizi di disegno. Determinante per questa scelta è stata la mostra degli impressionisti francesi che Kandinsky ha visto a Mosca nel 1895. E in particolare i Covoni Monet, che lo hanno avvicinato definitivamente a una diversa concezione dell’arte, a una nuova ricerca dell’oggetto. Gli hanno dato la prova che l’identificazione del soggetto principale della tela può diventare davvero la tavolozza.

Intanto lo studio dell’alchimia dei colori che era già alla base del suo lavoro, ha incominciato a prendere sostanza e a fondersi con maggior concretezza con le note e gli strumenti musicali. Il veicolo è il Lohengrin, rappresentato al Bolscioi.

«I violini, i fagotti gravi e particolarmente tutti gli strumenti a fiato realizzavano per me lo stupore di quest’ora prima della fine del giorno. Credevo di vedere tutti i miei colori, li avevo sotto gli occhi».

A Monaco studia e lavora senza darsi un attimo di requie. Per due anni frequenta la scuola di Anton Azbé e nel 1900 è l’Accademia di Stato. Ma ciò non toglie che Monaco in qualche modo lo deluda. Sarà lo spuntare all’orizzonte per Kandinsky, di un’altra tela, L’attesa di Gustave Klimnt che attirerà la sua attenzione. Un annunciato geometrismo incomincia a mescolarsi con evidenza ai dorati intrecci decorativi dello Jungndstil. E la voglia di muovere le acque di un’arte ancora troppo stagnante si concretizza in Kandinsky nella formazione del suo primo gruppo artistico, la Phalanx. Contemporaneamente si muove per l’Europa e si unisce alla pittrice Gabriele Münter. Ma Kandinskij non è artista solitario. Così pochi anni dopo lo scioglimento del gruppo Phalanx fonda la Neue Kunstlervereinigung. Con lui sono Alfred Kubin e Aleksej Javlenskj. Il programma artistico consiste nell’esprimere apertamente “Impressioni, sensazioni, emozioni”.

Scrive Kandinsky sul catalogo della seconda mostra del gruppo, in contemporanea alla stesura del suo Lo spirituale dell’arte: «La consolazione del cuore dei fenomeni del mondo esteriore, interiore. Presentimento della gioia. Il richiamo. Il linguaggio del segreto ad opera del segreto. Non è questo il contenuto? Non è questo il fine, conscio o inconscio, dell’impulso imperativo della creazione? Guai a colui che ha il potere di mettere nella bocca dell’arte le parole necessarie e non lo fa. Guai a colui che distoglie l’orecchio della sua anima dalla bocca dell’arte. L’uomo parla all’uomo di ciò che è oltre l’umano: la lingua stessa dell’arte».

Nel fra tempo Kandinsky incontra Franz Marc con il quale, dopo aver abbandonato la Neue Kunstlervereinigung, fonda il Cavaliere Azzurro. Il gruppo, nato sulle orme dello Spirituale dell’arte le cui teorie si dispiegano nell’almanacco Der blaue Reiter (Il Cavaliere azzurro), tiene l’ultima esposizione a Berlino nel 1914.

Con lo scoppio della guerra, Kandinsky torna in Russia, dove si ferma per sette anni. Nel ’17 sposa Nina de Andreewskij. A seguito della Rivoluzione, assume alcuni incarichi ufficiali importanti, ma continua a lavorare poco e le sue idee sono comunque distanti da quelle del costruttivismo di Naum Pevsner e di Aleksandr Mihailovič Rodenko, o del suprematismo di Malevič.

Così nel 1921 decide di ritornare in Germania. L’anno dopo è chiamato a partecipare al Bauhaus di Weimar. Saranno questi, prima a Waimar poi a Dessau e infine a Berlino, gli anni più sereni della sua vita, passati tra l’insegnamento, la scrittura e la pittura. Nel Bauhaus, Kandinsky ritrova Klee, Javlenskj, Feininger, e con loro mette in moto nel 1924 un altro gruppo ancora: “I quattro azzurri” (Die blauen Vier), che esporranno in Europa e negli Stati Uniti. Ma nel 1933, quando i nazisti bloccano tra le altre attività il Bauhaus, Nina e Vasily sono costretti a espatriare. Questa volta raggiungono la Francia e si fermano a Parigi, andando ad abitare a Neuilly.

Qui Kandinsky, a contatto con i surrealisti, introduce nelle sue opere nuove forme biomorfe accanto a quelle geometriche, mentre il cielo di Parigi gli suggerisce colori più chiari. Nel 1939 Wassily e Nina ottengono la nazionalità francese. Anche durante la guerra restano a Neully, rifiutando di espatriare negli Stati Uniti. A marzo 1944 Kandinsky accusa seri problemi di salute ma lavora fino all’estate. Muore il 13 dicembre, a 78 anni, senza vedere la fine della guerra.

La mostra milanese si apre con un vero colpo di teatro: i pannelli (ricostruiti dai progetti originali) della decorazione murale perduta, presentata alla Juryfreie Ausstellung, che Kandinsky realizzò nel 1922, con i suoi studenti del Bauhaus, nella quale si proponeva di riprodurre la stessa sensazione stordente di essere “penetrato” nella pittura che lui aveva provato in una spedizione etnografica compiuta negli anni dell’università entrando in una coloratissima iper-decorata izba contadina.

 

Maria Paola Forlani


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