Oblò Mitteleuropa
Natività e resurrezione in un unico racconto: “Cristallo di rocca” di Adalbert Stifter 
di Gabriella Rovagnati
Disegno tratto dalla prima edizione di
Disegno tratto dalla prima edizione di 'Cristallo di Rocca' 
20 Dicembre 2013
 

La storia di Konrad e S(us)anna, i piccoli protagonisti della novella Bergkristall [Cristallo di rocca, 1845] dello scrittore e pittore boemo (era nato a Oberplan, oggi Horní Planá nella Repubblica Ceca) Adalbert Stifter (1805-1868), una delle voci più significative del realismo ottocentesco di lingua tedesca, è una fra le “classiche” storie di Natale della letteratura europea. I due bambini sono i figli del calzolaio del villaggio alpestre di Gschaid che ha preso in moglie una “forestiera”, la figlia del tintore del vicino borgo di Millsdorf. Fra i due paesini si erge un’alta montagna – che ha ovviamente anche valore simbolico –, per cui l’unica via di comunicazione è un passo impervio, che però Konrad e Sanna ben conoscono, perché sono soliti far visita ai nonni materni a intervalli regolari. Anche la vigilia di Natale i due bambini si recano a Millsdorf per portare ai nonni i saluti e gli auguri dei loro genitori, e benché la nonna, dopo aver riempito il loro zaino di viveri e doni per loro e i loro genitori, si premuri di farli avviare verso casa subito dopo il pranzo, onde evitare che per via li colga l’oscurità, Konrad e Sanna, sorpresi lungo il cammino da una straordinaria nevicata che tutto avviluppa nell’uniformità del suo biancore, si perdono nel bosco. Così, invece di tornare a casa prima che faccia buio, mancano il valico e contro le loro intenzioni si trovano a salire fino al ghiacciaio sottostante la cima della montagna. Molto ragionevolmente però, quando ormai le tenebre li avvolgono, si rifugiano in una grotta, dove trascorrono la notte, difendendosi dal gelo con le provviste di cibo nello zaino e tenendosi svegli con il caffè, pensato dalla nonna come dono per la loro madre. La capacità di resistere e continuare a sperare dei bambini viene premiata. Appena si fa giorno i due si rimettono in cammino, tentando di scendere a valle; ma poco dopo sentono risuonare il corno che gli abitanti dei due villaggi, messisi sulle loro tracce su entrambi i pendii della montagna, usano come strumento di richiamo. È la salvezza. Ben presto Konrad e Sanna, dopo una notte insonne di paura, possono riabbracciare esausti i loro genitori e gioire dei doni preparati per loro per festeggiare il Natale.

Molte sono le associazioni che la novella suggerisce, prima fra tutte l’atmosfera di tante fiabe dei fratelli Grimm che parlano agli adulti benché trattino vicende di bambini e, come in questo caso, risolvono l’angoscia – non di rado scatenata da una natura imprevedibile e in apparenza matrigna – in un happy ending provvidenziale. Ma nel racconto di Stifter, convinto che a cambiare il mondo non fossero le rivoluzioni ma i piccoli mutamenti, dietro questa miniatura, questo piccolo spaccato di una realtà provinciale chiusa e conservatrice, c’è un invito a vivere il Natale come momento di solidarietà e di integrazione. Il ritrovamento dei due bambini dispersi, in cui si impegnano due comunità che fino a quel momento si erano guardate con reciproco sospetto, induce all’accettazione nella comunità di Gschaid della moglie del calzolaio e dei suoi figli, considerati da quel giorno di Natale non più come forestieri, ma in tutto e per tutto come nativi del villaggio.

 

Stifter, così affascinato dalle fantasmagorie dei paesaggi, così attento alle minuzie e ai dettagli, non è affatto un arido pedante, come qualcuno lo accusò di essere, e nemmeno un prosatore da strapaese, ma uno scrittore sempre alla ricerca “dell’essenza della vera umanità”, che si rivela là dove le persone pervengono al reciproco rispetto. E furono molti a capirlo e ad apprezzarlo, da Friedrich Nietzsche a Karl Kraus, da Thomas Mann e Hermann Hesse, per citare solo alcuni dei suoi ammiratori. Anche Cristallo di rocca, un racconto poi inserito nella raccolta Bunte Steine (Pietre colorate, 1853) e disponibile anche in più d’una traduzione italiana, è un esempio di come Stifter – anche se poi si abbandonò alla disperazione e, colpito da una grave malattia, finì per togliersi la vita – fosse convinto che la vera grandezza risieda nelle piccole cose, nella semplicità che spinge al controllo delle passioni e al raggiungimento della pace interiore.


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