Diario di bordo
Linda Pasta, Leonardo Antonio Mesa Suero. Le foibe del Mediterraneo
11 Ottobre 2013
 

Erano i corpi. I primi li abbiamo visti attorno alla barca. Mi ricordo due donne, abbracciate strette strette. Ma la cosa peggiore è stato guardare dentro la barca, incastrati come topi in trappola e finiti in fondo al mare senza avere manco il tempo di dire una preghiera. Un intrico di braccia e di gambe, di corpi, di brandelli di vestiti. – Dio solo sa quanti sono – ha detto Simone D'Ippolito, uno tra i primi a scendere sul relitto.

L'immagine delle due donne abbracciate e dell'intrigo di braccia e gambe e di corpi rievoca le vittime delle foibe, come dice Miten Veniero Galvagni: «le foibe sono uno dei più grandi cimiteri al mondo dei senza nome, in cui migliaia di corpi scheletrizzati giacciono abbracciati in fondo ai cunicoli...». I condannati venivano costretti a buttarsi nelle foibe dagli aguzzini che li legavano tra di loro, li spingevano o sparavano al primo della fila sull'orlo del baratro, affinché cadendo, si trascinasse appresso quelli che erano legati a lui.

I poveri profughi che arrivano dal mare sono spinti a scappare dalla guerra nei loro Paesi, guerra generata e alimentata da chi ne ha vantaggio, che riesce a mantenersi sotto il tetro velo dell'anonimato, ma con l'unico scopo di rendere produttiva l'intera filiera: quella delle armi. Quella della morte. È una catena malvagia in cui non c'è volontà concreta, da parte di chi ne avrebbe il potere, di rompere anche un singolo anello. Ma in realtà molte cose sono conosciute: le armi, e dietro i viaggi ci sono organizzazioni di tratte di esseri umani, già rodate da molti anni. Rodate come le guerre e la fame. Su tutto nessuno sembra indagare seriamente.

 

Per i martiri delle foibe c'è il “giorno della memoria”, per i martiri che muoiono ogni giorno in mare ancora no: il problema è ancora attuale. Ma, purtroppo, solo stragi come quella del 3 ottobre scorso riescono ad attirare l'attenzione. Ma molti dimentichiamo presto.

Eppure i morti di quest'ultima tragedia rappresentano soltanto il cinque per cento dei 6.200 morti nel Canale di Sicilia dal 1994 ad oggi.

 

L'anello iniziale che determina le stragi sono la guerra e la fame. E la diseguaglianza. E vanno combattute con tutte le forze. Sono tanti anni che la strage continua e si aspetta sempre che si fermi da sola. Ogni anno si fa la conta di quelli che arrivano e quelli che muoiono durante la traversata.

Si potrebbe per non dimenticare, istituire un altro giorno della memoria; anzi, infiniti «giorni contro la amnesia», perché non succeda come nel film Il giorno della marmotta – citato spesso dal Presidente del Consiglio – che ogni giorno è uguale al precedente. Ma qua non si tratta di incantesimo o maledizione, né di film; ma di crudele realtà.

La soluzione non è prendersi carico dei poveri profughi o evitare che muoiano nel Mediterraneo, ma far sì che non muoiano né in mare né in terra. E che possano abbracciarsi in vita!

 

Linda Pasta e Leonardo Antonio Mesa Suero


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