Diario di bordo
Valter Vecellio. Referendum: Il paradosso di una sinistra che c’è (ma non c’è)
16 Settembre 2013
   

Come finirà la campagna per i 12 referendum radicali non ci si azzarda a dirlo e prevederlo. La raccolta delle firme è ancora in corso, ed è cominciata la complessa procedura di “controllo” e “pulitura” dei moduli e delle firme stesse: che vanno accompagnate dai certificati elettorali, occorre controllare che i timbri richiesti dalla legge ci sian tutti e siano regolari, e via così. Ma si raggiungano o meno le 500mila firme autenticate per tutti o per alcuni dei referendum promossi, qualche considerazione (e qualche riflessione) già ora può essere fatta.

Per tanti motivi (e ci sarà tempo e modo per analizzarli), si può dire che nei primi due mesi circa la campagna referendaria, sia per il primo “pacchetto” di referendum, che per il secondo, è andata avanti in maniera che giustificava preoccupazione: il flusso delle firme ai banchetti allestiti non era tale da autorizzare ottimismi di sorta. Poi, grazie all’incessante pressing esercitato da Marco Pannella su Silvio Berlusconi, è scattato quel “qualcosa” che ha rivitalizzato la campagna. Il 31 agosto, un sabato mattina, Berlusconi accompagnato da Marco Pannella e da altri esponenti e militanti radicali e del PdL, firma al gazebo di Largo Argentina a Roma tutti e dodici i referendum, e dichiara: «Io firmo non solo i sei referendum sulla giustizia, che sono sacrosanti, ma firmo anche gli altri su cui non sono d'accordo, ma con questa firma voglio affermare il diritto degli italiani ad esprimersi direttamente con un voto su questioni che li riguardano direttamente».

Posizione schiettamente liberale; i sei referendum “sacrosanti” sono appunto quelli sulla giustizia. Su alcuni degli altri Berlusconi esprime chiaramente perplessità se non contrarietà: alcuni, come quelli sulla Boss-Fini, sulla Fini-Giovanardi o sull’8 per mille sono relativi a leggi varate da governi da lui presieduti; può apparire una contraddizione, dunque, ed è immaginabile che se si giungerà al SÌ e al NO, Berlusconi voterà e inviterà a votare contro l’abrogazione; è probabilmente favorevole al finanziamento pubblico ai partiti, e dirà NO all’abrogazione dell’8 per mille perché forse è convinto in questo modo di compiacere le gerarchie vaticane. Come sia, si avvierà un dibattito, un confronto, le ragioni del SÌ e del NO potranno finalmente (forse!) essere conosciute, e l’elettore deciderà secondo l’opinione che si sarà formata. In ogni caso, è una contraddizione positiva e fruttuosa quella in cui si viene a trovare Berlusconi, e certamente ne guadagnerà punti.

Il comportamento da cupio dissolvi, davvero incredibilmente incomprensibile (o se si vuole, comprensibilissimo, se si pensa chi sono i suoi leader) è quello della sinistra in generale e del Partito Democratico in particolare. Lasciamo perdere il segretario pro-tempore Guglielmo Epifani, cui Marco Pannella forse fa troppo onore definendolo Robespierre o Saint-Just de’ noantri. Lasciamolo sguazzare nei suoi stanchi e patetici NO, NO, NO, da bimbetto che rifiuta tutto, pesta i piedi e fa i capricci. Prendiamo il corpo del partito, o quello che ne rimane, dopo le varie “cure” Veltroni-D’Alema-Bersani-Franceschini-Bindi-Renzi-ecc.

I referendum, i comportamenti lo dicono in modo eloquente, li vedono come il fumo negli occhi. Tutti, nessuno escluso.

La domanda è molto semplice: c’è l’opportunità di abrogare quell’istituto incivile e barbaro che è l’ergastolo, il “fine pena mai”, che papa Francesco ha eliminato con un tratto di penna a Città del Vaticano. Perché per quel referendum non firmano e non raccolgono le firme?

Non è il solo referendum che dovrebbe vedere mobilitata la sinistra, il mondo progressista, i democratici. Perché, per esempio, rinunciano ad abrogare le norme della Bossi-Fini che ostacolano il lavoro e il soggiorno regolare degli immigrati?

Perché rinunciano ad abrogare le norme che prevedono il carcere anche per fatti di lieve entità della legge anti-droga Fini-Giovanardi? Perché rinunciano a eliminare quelle norme che riempiono le carceri di consumatori? Perché rinunciano a eliminare i tre anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio? Si diminuirebbe il carico sociale e giudiziario che grava sui cittadini e sui tribunali in termini di costi e durata dei procedimenti. Non sono battaglie politiche di sinistra, progressiste, riformatrici?

Ecco cosa mettono già in luce questi dodici referendum: battaglie progressiste, riformatrici, che dovrebbero essere orgoglio, vanto e bandiera della sinistra e di un PD non ridotto alla larva che è, che sono fatte dal campione della destra; e la sinistra che tace, tetragona nel suo paralizzante immobilismo, affondata in una morta gora da cui non sa, non vuole, non riesce ad uscire. Ma di che parlano e che cosa ci propongono, oltre a Berlusconi da abbattere, l’“uomo nero” che li cementa? Possibile che non sappiano nulla, non dicano nulla, non facciano nulla? Purtroppo la risposta è tre SÌ.

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 16 settembre 2013)

 

 

Vedi anche »» Referendum, le nostre firme contro lo scempio

Lettera di Marco Pannella al Direttore del Tempo (nell'edizione odierna)


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