Diario di bordo
Lucidamente Piergiorgio Welby chiede... 
«Restituitemi la “mia” morte»
Piergiorgio Welby
Piergiorgio Welby 
30 Settembre 2006
 

Facciamo conto che io affermi quanto segue: «Lucidamente la Chiesa cattolica chiede che la riproduzione umana non si avvalga di mezzi artificiali, anche quando non potrebbe esserci riproduzione che grazie a questi. Chiede che la riproduzione umana non sia sottratta dall’artificio umano al disegno divino e alla gente arriva il messaggio: “Rassegnatevi alla sterilità, nel caso”. La Chiesa cattolica non vuole negare qualcosa agli sterili, vuole solo che essi rispettino il disegno divino».

Funziona logicamente? Dipende. In Italia, per esempio, nell’agone referendario sulla legge 40/2004, questo procedere argomentativo ha funzionato. La sua forza? Soddisfare il fine del procedere argomentativo: il più amplio collimare possibile tra il proprio relativo e la propria idea di assoluto. Una propria idea di assoluto è cosa relativa, ovviamente: il procedimento argomentativo funziona logicamente quando il collimare tra il proprio relativo e la propria idea di assoluto diventa perfetta coincidenza. Qui, con il referendum, l’idea di assoluto che è maggioritaria nel popolo italiano (diciamo: il corrente archetipo di assoluto) coincideva perfettamente con un grosso fascio di propri relativi: strafottenza sociale e doppia appartenenza comunitaria (di cittadinanza laica e di comunione ecclesiale); luogo comune e principio etico fondato sul luogo comune (o, chissà, viceversa: luogo comune e principio etico che lo produce); conformismo e unum sentire; tic mentali e verità rivelate; “così si dice” e “ipse dixit”.


Ora, mi metto davanti ad un’altra affermazione. È di Mirko Morini, che sul suo blog scrive: «Lucidamente Piergiorgio Welby chiede che la sua vita possa svolgersi senza l’ausilio di respiratori artificiali e altre macchine, anche se lo svolgersi della vita vuol dire il volgere al termine della vita. Bene, lui chiede di morire e alla gente arriva il messaggio: “Uccidetemi!” […] Welby non chiede che gli sia data la morte, chiede solamente che gli sia restituita».

Funziona? Dipende. Piero Welby vuole decidere di se stesso. Se decidere di se stessi è un diritto, parrebbe cosa naturale e onesta. Ma non pare naturale: perché la natura – così dicono quelli che sanno leggere in essa il disegno divino – conosce un solo diritto, cioè la libertà di conformarsi alle leggi di Dio. E nemmeno pare onesta: perché noi non apparteniamo a noi stessi, ma alla relazione inter-personale che è relazione in Dio, di cui la persona è immagine e somiglianza; insomma, noi apparteniamo al gruppo, siamo un anello della catena che tiene il ciuccio della nostra assai limitata ratio legato al paletto della fides, che è bella salda e concede al ciuccio il congruo raggio d’azione.


Ma la questione qual è? La questione è che Welby non chiede – come Mirko Morini scrive in un altro passo del suo post – «la libertà di morire naturalmente», cioè di rinunciare all’«ausilio di respiratori artificiali e altre macchine». Rinunciare a questi aggeggi, adesso che sono nella carne di Welby, significherebbe una morte per asfissia – senza assistenza farmacologica, una morte da cani – non mi pare sia quello che vuole Welby. D’altronde, chi la vorrebbe per sé una morte del genere?

Welby vuole poter decidere, a suo insindacabile parere, la vivibilità della sua vita (nella specie: sul parametro della dignità che faccia coincidere il proprio relativo di dignità e la propria idea di assoluto della dignità umana). Come, quando e se ritenuta invivibile (non più degna), Welby vuole rinunciarvi – e senza che questo debba costare un supplemento di dignità. Welby vuole un suicidio assistito e ne ha diritto, se c’è un diritto a decidere di sé stessi. Noi possiamo solo concederglielo, se non vogliamo che l’autodeterminazione abbia altri limiti che l’altrui autodeterminazione. Sarebbe assai pericoloso: insieme al principio che non avrei il diritto di suicidarmi scivolerebbe quello che non avrei il diritto di dirmi individuo; insieme a questo ambiguo primato del “naturale” scivolerebbe l’ennesimo divieto all’ennesimo “innaturale”. Ecco perché certe battaglie non possono far altro che porsi come “radicali”.

 

Luigi Castaldi

(da Notizie radicali, 29 settembre 2006)


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