Diario di bordo
Claudia Osmetti. “Mamma Rai” e i suoi figli (il)legittimi 
Un’occasione per parlare di privatizzazione?
09 Agosto 2013
   

Viale Mazzini ha annunciato settantacinque nuove assunzioni grazie ad un accordo tra Rai, la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e Usigrai, il sindacato dei giornalisti del Cavallo Morente. Ma non parliamo di questo. Per garantire questi nuovi posti di lavoro, “mamma Rai” ha messo in regime di prepensionamento una quarantina di giornalisti, che hanno comunque raggiunto i requisiti pensionistici minimi. Ma non parliamo nemmeno di questo.

Parliamo, piuttosto, del fatto che dei settantacinque nuovi giornalisti Rai, trentacinque verranno direttamente dalla scuola di Perugia e che queste assunzioni non avvengono tramite concorso nazionale, ma per “prassi aziendale”. Cioè su chiamata nominativa. Cioè per mezzo di un canale privilegiato che collega l’azienda di viale Mazzini con la scuola umbra in vista della partnership Rai nel corso di studi diretto da Antonio Socci.

Nulla di strano, verrebbe da dire, se la scuola di giornalismo di Perugia dipendesse dalla Rai, ma così non è. L’Ordine dei Giornalisti è più chiaro della luna piena a mezzanotte sulla questione: le norme e le convenzioni con le varie Università non consentono le scuole aziendali. Le regole sono regole, insomma. E valgono anche per la Rai.

Quello di Perugia è uno dei 12 master riconosciuti dall’Odg come sostitutivi del “praticantato necessario per l’accesso alla prova di idoneità professionale per l’ammissione nell’elenco dei giornalisti professionisti”. Ma non è l’unico. Le assunzioni Rai privilegiate in Umbria di fatto penalizzando gli allievi delle altre scuole e rappresentano una "grave violazione delle regole esistenti" (parola di Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti).

La Rai, per quanto ne possa dire il presidente della Casagit, Daniele Cerrato, su Articolo21, è la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radio-televisivo italiano. E se proprio Cerrato propone il “modello Perugia” come un'occasione di rinnovamento del sistema Odg nazionale, perché per una volta non puntare il dito alla luna per vedere la luna e non solo il dito? Lungi da me passare per un crociato dell’Odg (come diceva Marco Pannella negli anni non sospetti del referendum abrogazionista “l’ordine è una singolarità tutta italiana”, ma questa è un’altra storia). L'affaire Perugia potrebbe servire (e finalmente) a riportare sul tavolo l'antica questione della privatizzazione definitiva della Rai.

Se ne parla da sempre (almeno dal 1995 quando 13 milioni e 736 mila italiani – ossia il 54,9% dei votanti – si dissero favorevoli alla vendita dell'azienda di viale Mazzini, ma si sa come funzionano i referendum nel nostro Paese), e non si fa mai. Ci aveva provato anche Mediobanca qualche mese fa a rilanciare l'idea, ricordando che un'operazione del genere avrebbe portato nelle casse dello Stato qualcosa come due miliardi di euro, ma era stata proprio l’Usigrai a usare la carta del “conflitto di interessi” che in Italia è sempre un jolly eccezionale. E aveva messo fine all'utopistica proposta il premier Enrico Letta: “Il servizio pubblico ha bisogno dell'orgoglio di chi lo svolge”. Orgoglio che, evidentemente, riesce a procurare soltanto lo Stato. Sic.

Certo, la privatizzazione della Rai non garantirebbe l’assunzione diretta degli allievi di Perugia. Non è la natura pubblica o privata dell’azienda a dettare le regole con l’Odg (infatti la scuola di Giornalismo IULM di Milano in partnership con Mediaset non gode di alcuna deroga in tal senso), ma sarebbe un primo passo verso una riforma dell’intero sistema. E non solo quello dell'Ordine dei giornalisti.

 

Claudia Osmetti

(da RadicalWeb.org, 8 agosto 2013)


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