Lisistrata
Lidia Menapace. Il rischio massimo
11 Febbraio 2013
 
   L'ho ormai ripetuto un paio di volte in forma dubitativa e poi sempre meno: Monti è più pericoloso di Berlusconi. Poiché questa mia opinione che guida ora tutte le mie fredde decisioni di voto elettorale non è accettata, vorrei farci su un discorso preciso.
 
   Parto naturalmente dal dire che tutti i miei ragionamenti hanno come sfondo e fondamento la natura della crisi: siamo nella crisi capitalistica strutturale e globale, del tipo che il capitalismo ha già incontrato all'inizio del secolo XIX e che ha portato alla prima guerra mondiale, proprio nel fulgore della Belle Epoque, e poi quella del 1929 detta Grande Depressione dalla quale il capitalismo è “uscito” con la ricetta keynesiana della spesa pubblica per rilanciare la crescita, sfociata nel New Deal roosveltiano negli Usa e nella presa del potere di Hitler in Germania: la ricetta keynesiana, cioè che lo stato si faccia imprenditore per rilanciare l'economia e la produzione ha come spese possibili e raccomandate grandi opere pubbliche (New deal) e/o spese militari (Usa e Germania).
Questa rimane a tutt'oggi da parte capitalistica l'unica ricetta, tuttavia non più applicabile perché la crisi capitalistica è di inusitate dimensioni e profondità e non si può far ricorso alle spese militari senza che si profili il minaccioso fantasma della guerra atomica dalla quale non si esce se non morti: a mio parere siamo all'inizio della crisi finale del capitalismo, cosa della quale sono molto contenta: era ora. Tuttavia non aspetto il crollo, dato che il sistema del capitale è molto strutturato, ha molti livelli e intrecci e sfioratori, sicché dobbiamo prevedere un susseguirsi di piccoli respiri e continue ricadute, in un alternarsi di positivo e negativo che di suo va alla barbarie, non solo né tanto alla miseria materiale, ma alla perdita di relazioni, alla distruzione della civiltà (intesa come regime della cittadinanza): il pericolo massimo è questo.
   Se ne può uscire con le “riforme"? a mio parere no, le riforme non sono più possibili, il capitalismo non è più riformabile. Infatti per “uscire” dalla crisi (e andare alla barbarie o all'alternativa di sistema) nessuno mette in campo riforme serie, quelle che Monti chiama “di struttura” ora . Togliatti molti anni fa incaricò Rossana Rossanda, giovane promettentissima comunista, di fare una ricerca in Marx sulle “riforme di struttura” e Rossanda trovò che in Marx non si parla di riforme di struttura, perché le riforme di struttura si chiamano rivoluzione. E la rivoluzione è quel “movimento reale” che “muta” lo stato delle cose presenti.
Le parole sono pietre: “movimento reale”, non fantasie o discorsi, “muta” è il verbo che dice una mutazione come quella che avviene in biologia secondo l'evoluzionismo darwiniano: orbene una mutazione si segnala per essere irreversibile; mentre cambiamento riforma cambio correzione aggiustamento mediazione compromesso sono sempre reversibili.
   Nella sua storia il capitale in una fase molto affluente, dopo aver vinto sul nazifascismo e trovandosi col pericoloso alleato sovietico, bandiera di tutte le speranze del proletariato, fece la sua massima riforma, quella che portò con un compromesso straordinario con la socialdemocrazia europea, allo stato sociale, cioè a una forma di stato nel quale i bisogni sociali storicamente emersi vengono sanciti come diritti comuni: il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, alla salute, alla casa ecc. Questa forma di stato si è costituita soprattutto in Europa (non negli USA) nella seconda metà del secolo scorso: oggi lo stato sociale, che è necessariamente legato alla pace e alla riduzione delle spese militari viene distrutto e cancellato, perché il capitale in crisi deve riprendere il suo dominio e l'uso della violenza ecc. ecc.
   E non è questo che Monti persegue? il lavoro non è un diritto, né la scuola, né la salute, tanto meno la casa, viene rilanciato lo stato assistenziale e la più selvaggia diseguaglianza sociale e di genere. Ma non si tratta di una fase di durezza che si potrebbe accettare se transitoria: essa è la faccia del capitale in crisi e non prelude a nessuna “riforma”. Per eseguire questo programma reazionario Monti ha l'appoggio dell'Europa capitalistica al potere ma in crisi e del Vaticano dal punto di vista culturale. È dunque forte e deciso, anche se inconcludente. Berlusconi è alla fine (troppo lenta -certo- e lasciandosi dietro rovine) della sua parabola e non riesce più a fare se non dell'avanspettacolo di infima qualità. Per questo bisogna sostenere la lista Ingroia che usa il termine rivoluzione civile, cioè propone la mutazione dei rapporti sociali nella cittadinanza. Se a questo punto persino Flavio Lotti risulta troppo avanzato per Bersani, sono contenta che l'abbia capito.
 
   Stando a un di presso così le cose, che fare dopo aver votato Ingroia?
Il seguito alla prossima puntata...
 
Lidia Menapace

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