Lo scaffale di Tellus
Virgilio Piņera. Reversibilitā (1978) 
Omaggio al poeta, nel Centenario della nascita
01 Novembre 2012
 

Reversibilità

 

Circondato da uno sciocco, un muto e un cieco

- decorazioni mostruose del negozio -,

attendi il tuo turno dal barbiere.

Loro hanno il vantaggio

di essere fuori dal tempo.

Sacri e consacrati

per una morte in vita,

niente potrebbe ferirli.

Ma tu esisti, esisti a metà,

in uno strano modo di esistere.

Tra i molti paradisi di questo mondo

nessuno ti toccò in sorte.

Il tuo ruolo è testimoniare

il tremendo divertimento degli altri,

e tramite la parola, trasformare

quel piacere in qualcosa di più sublime.

 

E mentre abbellisco il prossimo,

mi imbruttisco fino ad acquisire la maschera grottesca

di chi esiste a metà, soffre nel ceppo dei suoi giorni

immaginari, e la sua maschera corrode il suo volto reale.

 

Da bambino già fingevi d’essere un altro.

Tu non potevi essere tu.

Se vedevi un albero non era un albero,

era qualcosa d’indecifrabile.

Qualcosa che, indescrivibile, diventava il tuo altro io.

Intanto i frutti del paradiso terrestre

si allontanavano da te in una barca nera

costruita con parole ermetiche,

tanto indecifrabili come te stesso.

 

Ora il barbiere impugna la lama,

e si prepara a radere il cliente cieco,

che prova quasi l’orgasmo

quando la lama gli lambisce il pomo d’Adamo.

Ma è un cliente, e la lama è inoffensiva.

Non si abbatterà sulla giugulare né falcerà la sua vita.

Ma io vedo fiumi di sangue,

il barbiere trasformato in Jack lo squartatore,

il cieco come una donna fatale, riceve quel che merita.

La scena è così perfetta, così propizia.

Qua lo specchio moltiplica le passioni,

una poltrona è il letto della concupiscenza,

e questo asciugamano un torrente di lacrime.

L’amante tradito impugna la lama.

Bisogna vedere come si sovrappone un barbiere

a un uomo folle di passione,

e un cliente cieco a una cortigiana sgozzata.

L’irreale è realtà, il minuscolo, grandioso.

E anche se nessuno se ne accorge, finisco per trasformare il mondo.

Soltanto mio, atemporale. Loro continuano intatti.

 

- Grazie - dice il cieco. - Quanto le devo?

E lo sciocco ripete: Quanto le devo?

E ride senza sapere di cosa ride.

Non lo vedono. Non possono vederlo.

Ma tutti, ormai fuori dal tempo, sono figure giacenti.

Li animo man mano che sviluppo la trama.

- Signore - mi dice il barbiere. - È il suo turno.

- Signora - mi dice l’amante tradito, - raccomanda la tua anima.

- Signore - mi dice il barbiere, - la rado?

- Signora - mi dice l’amante tradito, - mi appresto a sgozzarla.

Sgorga il sangue dalla mia carotide, tremo come un invasato.

- Si sente male, signore? - mi chiede il barbiere innocente.

 

Perfettamente rasato abbandono il negozio di barbiere,

e perfettamente sgozzato mi portano alla morgue.

Un mondo gelatinoso nel quale scivolo a ogni passo

mi avvolge nelle sue ondate di realtà luminose.

Il tempo smette di passare, anche il sole

si è occultato, e la notte non esiste.

Il barbiere legge in casa sua il giornale,

il muto inghiotte il suo boccone, il cieco s’immerge nel sonno,

con le sue grida popola l’idiota la piazza deserta.

Ma tutti loro, senza saperlo neppure,

seguono lungo un viale il mio corteo funebre:

sono una puttana famosa che è stata appena sgozzata.

 

(1978)

 

 

Questa poesia non è mai uscita in italiano. È stata scritta un anno prima della morte. Racconta la poetica surreale di Virgilio Piñera, sia come drammaturgo che come scrittore.

Geniale, a mio parere. (Gordiano Lupi)


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