Diario di bordo
Valter Vecellio. Giustizia: se è lo Stato a essere in flagranza di reato
17 Agosto 2012
 

1) L’Italia è un Paese che ha nove milioni di processi pendenti e in cui l’istituto della prescrizione fa saltare duecentomila processi l’anno. Tutto questo è insostenibile in un Paese democratico. Questa situazione genera un’amnistia di classe, con i più ricchi che si avvantaggiano delle prescrizioni e le carceri che diventano una discarica sociale. Per questo chiediamo l’amnistia, come riforma strutturale.

2) Non ci sono stati interventi significativi e strutturali, così, anno dopo anno, la situazione si è aggravata. Il collasso del ‘sistema giustizia’, con i suoi dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi che coinvolgono oltre venti milioni di persone, pone ormai la Repubblica italiana in uno stato di manifesta flagranza di reato, vere e proprie violazioni quotidiane dei diritti umani.

3) Non c’è reale giustizia, quando un processo prima di arrivare a sentenza definitiva, impiega anni e anni: a causa dell’irragionevole durata dei processi, per il quinto anno consecutivo l’Italia è il Paese con il maggior numero di sentenze della Corte Europea per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate.

4) Dicono che l’amnistia non è popolare; così non fanno nulla; intanto, anche di recente il presidente della Corte Europea ha ribadito che l’Italia è la maglia nera per quel che riguarda l’amministrazione della giustizia e la lunghezza dei processi. E la situazione peggiora di giorno in giorno.

5) Al presidente della Repubblica la Costituzione mette a disposizione uno strumento che chissà perché non viene usato: il messaggio alle Camere. Ognuno verrebbe messo di fronte alle sue responsabilità.

6) Dicono che, obiezione ricorrente, che l’amnistia è un provvedimento tampone. Bene, si cominci a tamponare. Occorre far uscire il prima possibile il nostro paese dallo stato di illegalità permanente e flagrante in cui è precipitata. La verità è che si tratta di un vero e proprio tabù, e hanno paura. Con l’amnistia verrebbe meno l’alibi per fare le riforme della giustizia: riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità civile dei magistrati, abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulla droga, della Bossi-Fini sull’immigrazione… Servono poi quelle depenalizzazioni dei reati minori di cui si parla da anni, e che riguardano buona parte della popolazione detenuta. Occorre ripensare alle misure alternative al carcere, che le statistiche dimostrano produrre livelli molto più bassi di recidiva, mentre oggi sono quasi inapplicate. Una riforma non potrà che tener conto anche di quella “giustizia giusta” che gli italiani scelsero con i nostri referendum “Tortora”. Perché queste riforme non si fanno?

7) Il problema è che di questo come di altri grandi temi non si discute, non si dibatte; manca il confronto. Il “muro del silenzio”, nelle televisioni e nei media è pressoché totale. L’AgCom ha per esempio condannato la RAI per non aver informato i cittadini su un tema come questo, definito «di rilevante interesse politico e sociale», e ha chiesto che fossero realizzati approfondimenti nei programmi di prima serata, in trasmissioni come “Ballarò” e “Che tempo che fa”. Non è accaduto nulla. I provvedimenti e le ingiunzioni dell’AgCom sono ridotti a grida manzoniane, e la stessa Autorità finisce con l’esserne ridicolizzata.

8) I processi per ingiusta detenzione o per errore giudiziario nel 2011 hanno comportato risarcimenti pagati dallo Stato per 46 milioni di euro. L’esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all’Italia qualcosa come 96 milioni di euro l’anno di mancata ricchezza. La Confindustria stima che smaltire l’enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del PIL, e anche solo l’abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del PIL. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l’anno, e il costo medio sopportato dalle imprese italiane rappresenta circa il 30 per cento del valore della controversia stessa, a fronte del 19 per cento nella media degli altri paesi europei. Come si vede, questione di diritti umani violati, di leggi e Costituzione clamorosamente tradite, ma anche di denaro pubblico, cioè nostro, che viene sperperato.

 

Valter Vecellio

(da Notizie Radicali, 17 agosto 2012)


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