Diario di bordo
Davide Delaiti. L’(in)attesa sconfitta Islamica in Libia
02 Agosto 2012
 

La vittoria dei moderati alle recenti elezioni, pone la Libia in controtendenza rispetto ad altri Paesi del Nord Africa come Egitto e Tunisia, in cui le forze islamiche hanno prevalso. C’è grande trionfalismo da parte della stampa occidentale che parla di “svolta democratica” nel Paese assoggettato per oltre un trentennio dal regime di Gheddafi. Tuttavia la dicotomia “Regime Democratico” / “Regime Non-Democratico” è da evitare per analizzare adeguatamente i risultati politici. Sfiora infatti l'ingenuità parlare di passaggio da Non-Democrazia a Democrazia per una Libia in cui il leader politico sarà probabilmente l’ex Ministro dello Sviluppo economico nazionale di Gheddafi, appartenente all'élite autoritaria che governava dispoticamente il Paese fino a qualche mese fa.

Sarebbe piuttosto interessante analizzare le motivazioni per le quali i gruppi islamici hanno giocato e tutt'oggi giocano un ruolo tanto marginale nello scenario politico del Paese. Si potrebbe banalmente sostenere che le rivolte popolari in Libia, alle quali queste forze non hanno in alcun modo partecipato, abbiano sancito l’inizio di un processo di de-islamizzazione i cui esiti hanno condotto il Paese ad una via alternativa. Ma i motivi di questa (in)attesa sconfitta hanno probabilmente radici più complesse, riconducibili anche ai contrasti tra l’ex Dittatura e i gruppi religiosi che hanno significato un ridimensionamento del valore dell’Islam in Libia.

Da un punto di vista storico-ideologico, il movente religioso è sempre stato secondario rispetto al progetto gheddaffiano di “arabizzazione” del Paese. «Extend your hands, open your hearts, forget your rancours, and stand together against the enemy of Arab Nation, the enemy of Islam, the enemy of humanity (…)»: sono alcune parole che il Colonnello pronunciò con ardore alla Proclamazione della Repubblica Araba Libica il primo settembre del 1969 (dopo il colpo di Stato da parte degli “Ufficiali Liberi”). Come l’Arab Nation precede l’Islam nella sua dichiarazione, così gli ideali di realizzazione del Panarabismo (unità araba) hanno sempre prevalso sulla caratterizzazione religiosa della dittatura. Nazionalismo e Anti colonialismo all’insegna della Libertà, della Giustizia Sociale e dell’Unità erano i principi fondanti dell’ideologia di Gheddafi agli albori del suo autoritarismo.

L’Islam si prestava come forza promotrice dell’unità del popolo libico piuttosto che come colonna portante dello Stato, e fu chiaro sin da subito nell’azione politica di Gheddafi. La rivoluzione culturale del 1973, che aveva come scopo la modernizzazione del Paese, stravolse infatti alcuni punti cardine della tradizione islamica.

Il ruolo degli ulema, i giuristi islamici, gli unici a poter interpretare il Corano, fu svalutato: secondo Gheddafi il testo sacro non era un libro per pochi ma, in quanto scritto in arabo poteva essere letto da chiunque conoscesse la lingua, senza alcun tipo di intermediario tra l’essere umano e Dio. Gheddafi revisionò inoltre il calendario islamico, sostenendo che dovesse cominciare con la morte del Profeta Maometto nel 632 invece che nel 622, anno in cui fu compiuta l’Egira.

La “moderna interpretazione” gheddaffiana dell’Islam era un modo per rievocare lo spirito arabo, fortemente indebolito negli anni del colonialismo occidentale e per minare la concezione islamica sunnita, da sempre contraria alle sue riforme socio-economiche.

Gheddafi inoltre condusse una dura repressione contro quei pochi gruppi islamici che si opponevano a questa marginalizzazione della religione. I militanti religiosi, per lo più studenti e giovani che non sopportavano l’interpretazione eretica del Dittatore, lo consideravano un traditore del mondo islamico. Fra questi gruppi anche il più importante The Muslim Brutherhood - 'Fratellanza Musulmana' (un’organizzazione religiosa nata in Egitto e diffusasi in quasi tutti i paesi arabi) in Libia, non riuscì mai a trovare seguito diffuso e legittimazione sociale, tantomeno politica. L'organizzazione raggiunse il suo picco di “visibilità” solo nel 1980, quando mise in atto degli attentati in diversi centri urbani, ma dopo duri scontri con le forze militari, Gheddafi segnò la sua vittoria ordinando l’esecuzione degli attivisti islamici catturati.

Un esiguo ritorno di fiamma si ebbe nel 1995, anno in cui si susseguirono una serie di attentati, tra cui il tentativo di assassinare il Dittatore: tutti falliti. Prima delle rivolte popolari del 2011 i gruppi islamici in Libia potevano considerarsi definitivamente repressi.

Non meno difficoltoso peraltro è sempre stato il rapporto della società libica con l'islamismo. Da un punto di vista socio-politico infatti, la religione ha sempre avuto una rilevanza inferiore rispetto all’identità tribale. Le tribù, che in Libia sono più di cento, costituiscono la spina dorsale della società: sono strutture gerarchicamente organizzate che rispondono a codici etici e culturali differenti, che controllano parte dell’economia e dell’amministrazione di vari territori. Una struttura tanto decentralizzata impedì allo stesso Gheddafi di attuare molti dei suoi progetti di riorganizzazione sociale, tra cui l'imposizione di un partito unico, l’Unione socialista araba, per mobilitare e politicizzare il popolo libico. Nondimeno costituì un ostacolo alla presa dell'Islam sul Paese, che oltre a fare i conti con la repressione politica si arrese ad una realtà sociale che in Egitto e Tunisia era molto più aleatoria.

La storia libica dunque ha già segnato il suo futuro: i risultati delle elezioni politiche non hanno alcunché di sorprendente o inaspettato. Credere che con la vittoria di Jibril la Libia abbia voltato le spalle all’Islam per abbracciare i valori occidentali e prendere la strada maestra verso la democrazia è una verità solo parziale. È certo invece che la sconfitta islamica non rappresenta una nuova conquista, né una incredibile vittoria democratica: tutto è andato come previsto.

 

Davide Delaiti

(da Notizie Radicali, 1° agosto 2012)


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