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Ascanio Celestini. Pro patria. Senza prigioni, senza processi 
Al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino a domenica
25 Maggio 2012
 

Il Risorgimento tradito. Anzi, i Risorgimenti traditi. Una prigione e nella prigione una cella e nella cella di 2 m x 2 m un “ladro di mele” che parla con Giuseppe Mazzini, romantico rivoluzionario e padre della patria ora, clandestino e terrorista allora. Un “ladro di mele” che trascorre le 22 ore su 24 di ogni giorno del suo ergastolo nel cubicolo di 4 mq a leggere testi che gli sono passati, un po' incredibilmente, per le mani in quanto ritenuti innocui. Dalle mani che voltano le pagine e dagli occhi che le leggono alla mente e all'anima che immagazzinano ed elaborano il passo è breve e fatale.

Il carcerato nella follia indotta della sua solitudine racconta e si racconta attraverso un monologo-dialogo immaginario con Giuseppe Mazzini, l'uomo dell'eterno esilio, l'idealista senza mediazioni. Ascanio Celestini è grande, grandissimo, in Pro patria. Senza prigioni, senza processi, uno spettacolo in cui da solo in scena incatena la platea. È, la sua, un'affabulazione amara, dissacrante, dolente, a tratti farsesca poiché il tragico sovente si rivela con il comico e il grottesco, sullo stato della nazione, su ciò che è stato e su come avrebbe invece dovuto essere, una disamina spietata, forte, da pugno nello stomaco, sull'iniquità e l'ipocrisia sociale. Il tutto partendo da un punto di vista “privilegiato”, spiazzante, divagante per meglio centrare il bersaglio: quello di chi è dentro le mura di una prigione, nei famosi 2 m x 2 m.

Che cos'è la libertà, di chi è la libertà? Dalla Repubblica Romana alla strage di Piazza Fontana per tornare – fra dati, storie, nomi, volti, vicende penose o grandiose (talora dolore ed epicità sono stranamente e strettamente avvinti) – come in un circolo al luogo eterno della pena, con l'espediente, formale e così poco formale, di Mazzini interlocutore muto, nel gioco delle presenze-assenze, nella citazione del pensiero libertario, con l'evocazione di Goffredo Mameli, i fratelli Dandolo e i fratelli Bandiera, Carlo Pisacane, Carlo Cafiero, Felice Orsini, Anita Garibaldi, Poerio e gli eroi sconosciuti, tutti perdenti secondo la logica della storia, nella controvertigine.

Il carcere è onnipresente, luogo tristemente concreto e metafora esistenziale: «L'idea che il carcere possa rieducare e risocializzare è ridicola» spiega Celestini. «A parte le condizioni dei detenuti, si sono moltiplicati i reati. Non perché ci sia più gente che delinque, è solo che ci sono più modi di mandare la gente in carcere. Un carcere che ormai sostituisce lo stato sociale». Un angolo visuale estremo? Forse soltanto coraggio, onestà intellettuale e intelligenza critica in un Paese dove tutto ciò è merce rara.

Uno spettacolo non consolatorio, che invita a una seria riflessione e che rende evidente, una volta di più, la genialità dell'autore e interprete Celestini.

Da consigliare ai giustizialisti castigamatti. Da consigliare agli ignoranti, nel senso che ignorano. Da consigliare a chi poco sa della storia patria. Insieme con gli splendori ci sono le miserie e le nefandezze.

Un testo multidimensionale con il raro merito di accendere la luce dei riflettori sul triste universo penitenziario – drammatico l'elenco dei morti suicidi e le relative modalità – per come si è imposto nel Bel Paese, quello del Risorgimento tradito.

 

Alberto Figliolia

 

 

PRO PATRIA. Senza prigioni, senza processi di e con Ascanio Celestini (suono Andrea Pesce). Piccolo Teatro Grassi, via Rovello 2, Milano (MM1 Cairoli). Sino al 27 maggio. Tel. 02 848800304.


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