Pianeta jazz e satelliti
ALI FARKA TOURE - Savane (World Circuit 2006)
30 Agosto 2006
 

«Non è tanto la musica ad essere importante,
quanto ciò che ha da dire»

(Ali Farka Toure)


Savane è il canto d'addio di Ali Farka Toure. L'album è stato registrato a Bamako e terminato poche settimane prima della morte del grande musicista africano, avvenuta il 7 marzo di quest'anno. Un testamento musicale e spirituale di grande pregnanza e assolutamente svincolato da ogni logica discografica. Forse il disco più bello di Ali Farka, e certamente uno dei più magnetici ed affascinanti di questo 2006, prescindendo da qualsiasi etichetta di genere musicale.

La musica del delta del Niger, un impasto materico e spirituale frutto dell'incontro di più lingue e culture, viene spinta dalla calda e profonda voce di Toure a vette di assoluto splendore. Per quanto il timbro vocale e l'andamento bluesy ricordino John Lee Hooker, accostare questa musica al blues è riduttivo e fuorviante. Qui c'è l'Africa con i suoi ritmi e le sue malie ipnotiche, i brani sono caratterizzati da sonorità secche e calde come il deserto, i tempi dilatati senza forzatura. Accanto alla chitarra acustica ed elettrica del leader, conferiscono anima e sangue i suoni dei due n'goni, antico liuto a quattro corde, pizzicati da Mama Sissoko e Basekou Kouyate, e il violino ad una corda di Fanga Djawara. Il colore ritmico è dato dal crepitante calabash, una zucca svuotata e percossa con le mani o con bacchette di legno da Souleye Kane. In alcuni brani compaiono come musicisti ospiti il flautista Yacouba Moumoni, il sassofonista Pee Wee Ellis, l'armonicista Little George Sueref e Massambou Wele Diallo al bolon, uno n'goni basso.

La vetta dell'album è rappresentata dal brano che ne dà anche il titolo, “Savane”. Un lungo, magnifico reggae ridotto all'essenza musicale, con una voce vetrosa e nera che trasporta l'ascoltatore direttamente nel delta del Niger, là dove il grande fiume si perde e confluisce non nel mare, bensì nel deserto.

Molto curato il libretto dell'album, con i testi tradotti in francese ed inglese, mentre i brani sono cantati in prevalenza nelle lingue del delta: fulani, songhay e bambara. Un disco ammaliante e bellissimo, capace di evocare i colori e le suggestioni dell'Africa. Indispensabile.

 

Roberto Dell'Ava

VALUTAZIONE: * * * * *


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