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In libreria/ Alberto Figliolia. “Il sospetto di vivere” di Lorella De Bon
23 Febbraio 2012
 

Un graffio nell'anima. Terso cristallo urlante. Un dolore non rassegnato. Il gioco mai smesso della speranza. Voglio vivermi postuma/ dentro un giardino/ pensile, sospesa su precipizi/ osceni come camelie/ appuntate sul petto.

La poesia di Lorella De Bon (foto) è imbevuta di assenze, quelle che richiamano le dure presenze, l'arduo presente, dell'esistere. Frammenti di sé, spaesamento, straniamento, ricomposizioni di amori e affetti, l'ineluttabile deriva – potente, amara, soave, trasfigurante – dei ricordi. Ci sono giorni come questo, dove i ricordi/ stanno in piedi di fronte al mare, e si può solo/ volgergli le spalle per sentire la settima onda/ arrivare, senza avere alcuna paura. “La settima onda”... la metafora è ardita, misterica, musicale, arcana. La lingua di Lorella si nutre delle più piene suggestioni naturali: dubbio fecondo come le onde del mare che consolano e sconvolgono, le età del mondo che precipitano imprevedibili e impietose, foglie d'autunno trascinate dal vento, nubi-carosello, carovane di luce.

Sono cattedrali di emozioni: navate d'ombra, vetrate da cui filtrano colori antichi, ineffabili profumi, strazianti corali. C'è sempre qualcosa di commovente nei versi dell'autrice, senza mai cadere nel patetismo. Ieri è passata una donna./ Era triste e m’ha lasciato/ in eredità un fiore, bello/ come una lumaca/ che striscia sull’erba./ Ora tengo un giglio in bocca/ a riempire il tempo solitario/ di questi anni di ghiaia;/ sala d’attesa i giorni/ di poltrone similpelle. “Sala d'attesa i giorni”... la vita è un prezioso ossimoro: fra indifferenza e passione, fra contemplazione e agire, fra finzioni e verità.

Il mio viso è una squama di sabbia e ti lecco/ le ferite: in bocca una perla inattesa. La sorpresa dell'amore, nonostante. L'amore che colpisce come crudele frusta, l'amore invocato: Attraversami in diagonale/ e abbatti quegli alberi/ che non hai saputo vedere/ nei miei occhi di bosco. Ma anche: La gentilezza ti si addice/ e se un giorno potessi entrare/ nella tua vita mi precederesti,/ per aprirmi la porta con un gesto/ dalla grazia innata. Ma tu nascimi/ adesso, qui, nello spazio ristretto/ del polso e fatti piccola vena azzurra/ e linea della vita a disegnarmi addosso/ ragnatele di sguardi timidi e galanti. “Nascimi”... transitivi e intransitivi a confondere e confondersi, gli strani rimescolamenti, le osmosi e simbiosi, la rabbia e l'abbandono che rivestono i giorni. Del resto è... Inutile vestirmi di salici e magnolie/ quando la mia casa è un metro quadro/ di presente.

Eppure le prospettive che dona la poesia sono infinite: Abito una casa blu tutta mia, ricoperta/ d’azulejos calde come terra di Portogallo,/ come sogni che sbadigliano al mattino/ per la prima volta dopo secoli./ Una casa ricoperta di ceramica,/ piccola stube dove dio potrà posare/ la teiera e riposare membra di nuvole/ dense di memoria./ Perché è triste pensare che le orme/ non abbiano padrone, spazi senza voce/ da riempire col sole o cancellare/ con mani di vento. Intimismo e raccoglimento non sono mai piccolezza di vedute, orizzonte limitato o circolo vizioso. Tutt'altro. Si spalancano oceani, anche abissi. Peraltro l'(auto)ironia è un fiume sotterraneo che lambisce e mitiga l'inquietudine. Con armonia ché altrimenti l'inquietudine smangerebbe il cuore facendone caverne di solitudine (e invece sono, sovente, cieli aperti). Perché... Può nevicare su Nuova Delhi,/ avanzare il deserto in Siberia, / io devo sopravvivermi dentro/ per colmare l’anima di ciò/ che ancora non sono stata.

Nella linearità lirica del lavoro di Lorella De Bon dimora un'originale complessità. Anni di scrittura come scavo profondo: tentativi, partenze e ritorni per instaurare nuovi cicli... sollevo/ fogli e li ripongo nel disordine/ di cassetti che fanno male, infilati/ nella carne sino a cozzare ossa/ quasi fossero scogli e navi.

Il sospetto di vivere ci coglie impreparati. È allora una fitta tremenda, insostenibile. Per riaversi occorre aggrapparsi alle ringhiere dell'alba, alle carezzevoli sinuosità della notte, all'odore della terra umida di pioggia, all'impervio imperscrutabile fulgore del cosmo, al silenzioso canto degli alberi, agli occhi chiusi che sognano, a... una casa/ sopra il prato, una tovaglia/ stesa al sole, un’orma di cioccolata/ da succhiare quando non ci sei/ e ingrassare i pensieri, così esili / e spauriti a ogni soffio di vento o Un’ombra di marzapane, da mangiare quando/ il gelo diventa feretro d’erba. Perché, come dice la poetessa, l’innocenza è un lenzuolo/ asciutto, che aspetta la pioggia/ per profumare di petali e lacrime/ la vita tutt’intorno.

È una silloge di grandissima maturità, una splendida dimostrazione artistica. E scossa tellurica del sentimento, boato interiore, il silenzio elettrico del fulmine che illumina e squarcia, il posarsi lieve di una foglia al suolo, il lavorio della vita nella terra nera, il segreto dei frutti che in questa si celano prima del risveglio.

Chissà se i fiori nascono/ con fatica, tra i dolori/ del parto, o nascono improvvisi/ e lievi, a solleticare l’aria/ che li cinge d’attorno e il cielo/ che li raccoglie in grembo./ Chissà se arriverà la neve/ d’autunno a imbiancare il prato/ o saranno foglie a imbiondirne/ le asperità e le dolcezze./ Chissà e ancora chissà, domani./ Intanto, un gatto s’appisola / tra il fieno a raccogliere tracce / di calore, un cane gironzola/ ad annusare tracce, i gabbiani/ insistono sul prato come fosse/ una distesa salata, ed io resto / vedetta in attesa della pioggia/ e del tempo del colera. Meraviglioso.

 

Alberto Figliolia

 

 

Lorella De Bon, Il sospetto di vivere

Albalibri Editore, pagg. 114, € 12,00


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