Oblò cubano
Cuba. I veri assassini di Bayamo sono ancora liberi 
La Sicurezza di Stato promette di rivedere il processo
10 Dicembre 2011
 

Il periodico digitale indipendente Diario de Cuba scrive che la Sicurezza di Stato ha promesso ai familiari di 13 condannati a pene fino a trent’anni di reclusione per l’omicidio di una minorenne a Bayamo di rivedere il caso. I familiari assicurano che i condannati sono innocenti e che i veri assassini di Lilian Ramírez Espinosa sono ancora a piede libero. Accusano il Dipartimento Tecnico di Investigazioni di Bayamo di aver fatto un pessimo lavoro, di aver fabbricato prove e usato comportamenti minacciosi, inganni, pressioni psicologiche e persino di aver usato le maniere forti per ottenere confessioni.

Sono state consegnate ai funzionari incaricati di Villa Marista, alcune dichiarazioni degli accusati - tra i quali ci sono tre cittadini italiani - e diversi documenti per cercare di dimostrare l’inconsistenza delle prove. Tra i documenti c’è una memoria contenente gli errori che secondo gli avvocati sono stati commessi. La rivista cubana scrive che i giudici incaricati di rivedere il processo si sono resi conto che in primo grado non è stato fatto un buon lavoro.

Simone Pini, condannato a 25 anni di reclusione, e Ramón Enrique Álvarez Sánchez, che deve scontare una pena di 14, sono scesi in sciopero della fame dalla settimana scorsa.

«Simone dice che non sconterà una sentenza per un reato che non ha commesso e che preferisce morire prima di continuare a vivere in carcere», ha detto Virginia García Reyes, compagna di Pini.

L’italiano, accusato di omicidio e corruzione di minori, assicura che non si trovava a Cuba nel giorno in cui è morta la bambina e afferma che le autorità ignorano deliberatamente le prove portate a sostegno del fatto che si trovava in Italia.

«L’appello è un altro modo per toglierti denaro. Mi hanno fatto spendere 15.000 dollari di avvocato. In questo posto, secondo me, la giustizia non esiste», ha detto a Diario de Cuba l’italiano Luigi Sartorio (foto), condannato a vent’anni con l’accusa di corruzione di minori, dal carcere avanero del Combinado del Este. In un primo tempo Sartorio era stato accusato di aver partecipato all’omicidio della bambina. «Sono stati 12 mesi di istruzione terribile, trascorsi in un luogo privo di aria e di luce, spesso senza neppure mangiare e bere. Mi hanno chiesto solo una cosa: dove mi trovavo il 14 maggio del 2010», ha detto Sartorio. L’italiano ha portato prove della sua presenza in Italia, come transazioni bancarie e pratiche pendenti davanti alla giustizia del suo paese.

«Hanno minacciato di fucilarmi, di mettere mia moglie (cubana) in prigione e di portare mio figlio (un bambino di un anno) in orfanatrofio», ha detto. Inoltre un capitano chiamato Medina avrebbe tentato di obbligarlo con la forza a dichiarare di aver pagato un funzionario dell’Ufficio Immigrazione affinché cancellasse la sua data di ingresso a Cuba. Secondo Sartorio, dopo un anno di tentativi a vuoto, i giudici istruttori hanno modificato i capi d’accusa nei suoi confronti.

«Mi hanno tolto l’imputazione di omicidio e hanno inventato quattro reati», ha detto.

Il tribunale di Bayamo ha accusato l’italiano di aver partecipato a diversi incontri erotici con minorenni e altre persone condannate. Sartorio ha detto di aver presentato testimonianze video e foto per dimostrare che non si trovava a Bayamo nei giorni indicati dalle autorità. Per esempio, il 20 febbraio del 2010, era a Holguín per la nascita del figlio e ci sono molti testimoni che possono provarlo.

«I giudici istruttori hanno usato prove false, addirittura costruite, come un pelo tagliato che è stato rinvenuto in una delle case dove hanno avuto luogo gli incontri. Qui tutto è falso. Non spero minimamente nel giudizio di appello. Avevo 14 testimoni a favore che sostenevano come le accuse contro di me fossero menzogne, ma non è bastato. Cuba mi piaceva molto. Avevo deciso di stabilirmi in questo paese perché lo credevo sicuro e tranquillo. Adesso penso che è un luogo pericoloso e che non c’è giustizia», ha concluso Sartorio.

La storia di questo orribile delitto non sembra finita. I nostri connazionali sono nelle mani di un sistema processuale che non garantisce la certezza del diritto e a questo punto si sentono anche un po’ abbandonati dalla giustizia italiana.

 

Gordiano Lupi


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