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In libreria/ Alberto Figliolia. "Linea interrotta" di Claudia Cangemi
02 Dicembre 2011
 

La vita come una Linea interrotta. La vita bugiarda, incomprensibile, bastarda. La vita: il bene più prezioso o insopportabile peso. Con il suo corollario di illusioni, disillusioni, sogni, speranze, delusioni. L'amore, un diamante. Un diamante che può mutare in grafite, nera polvere.

Linea interrotta è la prima raccolta poetica di Claudia Cangemi, giornalista, caposervizio de Il Giorno. Una prova d'esordio sorprendentemente matura e compiuta, anche dal punto di vista formale. Il giornalista, si sa, è addestrato alla penna, ma talora il passo alla poesia è troppo più lungo. Non è certo il caso della Cangemi, che ha temprato ogni parola al fuoco del dolore, del risentimento pacificato, della consapevolezza dopo il buio nel quale d'improvviso ciascuno di noi può sprofondare. E a quale luce ci ridestiamo dagli abissi delle tenebre?

Da qualche parte/ nel bosco degli anni/ c'è una bambina/ che grida per uscire: grida sempre il bambino che è in noi, che continuiamo a essere nella giungla dell'esistere. Conosco per nome/ le mie rughe/ Ognuna è un amore/ e un dolore: breve, rotto, essenziale è il versificare di Claudia Cangemi. Nessun orpello, nessun abbellimento, nessun aggettivo inutile o superfluo. Solo l'essere nella sua dolente nudità, nella solitudine che abbaglia, forse attrae, certo travaglia. Marciavo nel fango/ con l'anima strappata/ sorretta dal pensiero/ di averti al mio fianco/ Quando mi sono voltata/ eri già lontano: com'è duro procedere nel reticolo dei giorni, nel labirinto delle scelte e delle non scelte.

La testa sul petto/ ascoltavo i battiti/ del tuo cuore di madre/ mentre affannavo parole/ per dirti l'angoscia/ di quei baci rubati/ insieme alla mia innocenza/ Sentii la tua paura/ e poi il sollievo/ e la distanza/ dal mio dolore/ incompreso/ In quel momento/ finì la mia infanzia:chi siamo? Un breve volo, un inconsulto passaggio di generazioni? Soffro i dolori/ di una parte di me/ chiamata figlia/ Mi spezza il cuore/ guardare il suo corpo/ fragile e denutrito/ un uccellino/ caduto dal nido/ per aver provato/ troppo presto/ a volare: non si sceglie d'esser figli e si è puniti con l'esser padri/madri. Camminare come equilibristi e aggrapparsi al nocciolo duro della propria essenza per non precipitare. La precarietà è sempre un prezzo da pagare all'amore, agli affetti? E la solitarietà prevale sulla solidarietà?

Eppure, eppure... Mi fa troppo male/ voltarmi indietro/ a contemplare/ la scia di macerie/ della mia vita/ Né posso permettermi/ fughe in avanti/ per ingannare la nostalgia// Come un vecchio ronzino/ limitato e protetto/ dai paraocchi/ del presente/ trascino il mio carro/ e passo passo/ lascio cadere/ pietre di dolore/ per fare spazio/ a gemme di futuro. La chiave di volta: fili d'acciaio che avvincono e tagliano mani e anima, ma intanto procedi; la distanza, che dall'inganno e dalla menzogna può divenire giusta; l'incapacità di salvare il grido dell'altro, ma intanto c'è la percezione. Tutto si può ribaltare: precipitando, con il crollo delle certezze (ahi quanto presunte!), nella sofferenza più acuta e ottusa o risalendo, seppur faticosamente, la china e riacquistando il senso di sé nel mondo.

Pietre di dolore sì, ma anche, come una trasmutazione alchemica, come una benefica metamorfosi, gemme di futuro.

 

Alberto Figliolia

 

 

Claudia Cangemi, Linea interrotta

Davide Zedda Editore, 2011, pagg. 95, € 12,00


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