Diario di bordo
Giulia Crivellini. Perché non temere l’amnistia
18 Agosto 2011
 

«Il sovraffollamento nelle carceri rappresenta un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile». Così ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del convegno di fine luglio organizzato dai Radicali. Nel frattempo qualche cosa si è mosso. Già, perché al consueto appuntamento estivo del ferragosto in carcere quest'anno hanno aderito ben 2.000 persone, oltre ad un consistente numero di parlamentari, consiglieri e figure istituzionali. L'urgenza, infatti, è divenuta oggi sinonimo di insostenibilità. Non solo sul piano della dignità (minima!) da garantire a ciascun individuo, ma altresì su quello della dignità di uno Stato che deve recuperare spazi di legalità, per «tornare ad essere in qualche misura democratico».

Se un barlume di luce è stato fatto, le soluzioni, però, sembrano vagare nell'oscurità.

I Radicali dicono forte e chiaro: Amnistia! Il filo da tirare per arrivare a riforme complessive in tema giustizia. Il neo-arrivato Guardasigilli risponde: nessuna Amnistia; piuttosto depenalizzazione dei reati minori, revisione dei meccanismi di custodia preventiva e avanti col “piano carceri”. Dietro, l' eco di un'opinione pubblica che non ritiene sufficiente la misura suggerita da Pannella, in parte celando il timore di un'ondata di criminali in giro per le strade.

A questo punto, un'opera di verità si rende necessaria. Sì, perché l'Amnistia ha un significato ben preciso, che deve essere conosciuto per poter esserne riconosciuta la validità.

In primis, Amnistia significa Cura per uno Stato con febbre a 40. Per un malato che ha l'aspirina a portata di mano non solo è inutile, ma può essere addirittura mortale attendere mesi prima che i medici trovino l'antibiotico. Mi si dirà: allevia, ma non cura. E poi: racchiude un morbo, perché usciranno indiscriminatamente tanti criminali. E qui si entra nel cuore della questione: la portata “emergenziale” di questo strumento è rafforzata da una valenza fortemente strutturale. Non solo porta sollievo al nostro Stato “umiliato” (cit. Napolitano) e al lavoro dei magistrati, i quali si vedrebbero ridotti i processi penali a 1 milione e mezzo dai 4 e mezzo pendenti, ma anticipa quelle stesse riforme strutturali da tanti richiamate. Le anticipa perché, come istituto delineato dal diritto penale, le contiene in sé stesso. L' Amnistia, infatti, non viene concessa a mo' di indulgenza o carità, ma deve seguire dei criteri precisi, collegati agli anni ancora da scontare oppure alla tipologia di reato. Si potrebbe, ad esempio, far rientrare nel suddetto provvedimento tutti quei reati considerati “minori”, o perché senza vittima o perché non più avvertiti come tali dalla società (cd “inutili”).

Ma, soprattutto, si potrebbero far rientrare quelle “emergenze sociali”, quali le tossicodipendenze e l'immigrazione, che non sono riuscite a trovare, sino ad oggi, adeguate soluzioni di politica (appunto) sociale, e che per questo vengono relegate nel dimenticatoio carcerario.

Insomma, perché fare domani (e quando?) misure di depenalizzazione di reati che già oggi, proprio con questa misura, possono essere prese?

Consideriamo, poi, che non si tratterebbe solo di alleviare le condizioni dei tanti, troppi, malati di giustizia, ma di permettere e costringere la classe politica ad intervenire davvero. Risulterebbe, così, essere l'anestesia che crea quell'arco temporale indispensabile e irrinunciabile ad ogni intervento.

È su questo terreno che la politica deve giocare la sfida. Se continuare a percorrere la strada delle promesse e della non-credibilità, divenendo ogni giorno più fragile, oppure, invece, decidere di dare un segnale serio ed immediato. E questo segnale ha un solo nome: Amnistia.

 

Giulia Crivellini

(da Notizie Radicali, 17 agosto 2011)


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