Oblò cubano
In memoria di Eliseo Alberto
02 Agosto 2011
 

Eliseo Alberto Diego (1951 – 2011), detto Lichi, è morto il 31 luglio a Città del Messico. Era uno degli scrittori cubani più importanti di questo secolo. In Italia ha pubblicano L’eternità alla fine comincia un lunedì (Einaudi, 2004). Vogliamo ricordarlo con una sua lirica velata di nostalgia e di rimpianto per la terra lontana.

 

 

En el muro del Malecón
di Eliseo Alberto

 

Si me obligan, me robaré la Habana.
La romperé, verás, con un martillo.
Traeré de contrabando, en el bolsillo,
la noche, nuestro mar y tu ventana.

 

Si me obligan, me robaré el pasado.
Me llevaré mi calle y sus portales,
tu juventud, un verso, las portales
de esa islita que el odio me ha negado.

 

Si me obligan, me robaré La Habana
piedra por piedra, amor, pena por pena.
Mi vida rompo, guardo los pedazos.

 

Escapo antes de que sea mañana.
Me verás dando tumbos por la arena
como quien lleva a su mujer en brazos.

 

 

Nel muro del Malecón
di Eliseo Alberto

 

Se mi obbligano, ruberò L’Avana.
La romperò, vedrai, con un martello.
Porterò di contrabbando, nelle tasche,
la notte, il nostro mare e la tua finestra.

 

Se mi obbligano, ruberò il passato.
Porterò via le mie strade e i suoi porticati,
La tua gioventù, un verso, i porticati
d’un’isoletta che l’dio m’ha vietato.

 

Se mi obbligano, ruberò L’Avana
pietra dopo pietra, amore, tristezza su tristezza.
La mia vita rompo, metto da parte i pezzi.

 

Fuggo prima che sia mattina.
Mi vedrai arrancare sulla rena
come chi porta la sua donna in braccio.

 

(Traduzione di Gordiano Lupi)

 

 

 

Lettura di Patrizia Garofalo

Lo obbligheranno e prederà il passato.

Sarà vento come il suo nome indica.

Denuderà la sua isola fuggendo con le tasche piene e piene anche le mani e l’anima, di porticati e finestre di sguardi,

Di corpi rubati e di giovinezze sfiorite sui balconi

Dove niente è stato fiore se non l’attesa.

Rompere la propria vita e custodirne i pezzi è ciò che resta

da custodire gelosamente e lasciare al mare

Pietra dopo pietra scapperà lontano.

Grande immagine di un abbraccio geloso

così potente che resterà simulacro nel salvataggio dell’anima.

Sua e nostra.

 

 

 

Il collega Félix Luis Viera nel volume La patria è un’arancia (Il Foglio Letterario, 2011) ha dedicato una poesia a Eliseo Alberto che volentieri riproduciamo.

 

 

Vittima di una fata
Eliseo abita sulla cima dei tulipani,
i suoi possedimenti si estendono in ogni luogo freddo
nel punto più alto a ovest dell’infinita Città.
Il suo incedere è lento come quello delle rondini ferite alle ali,
il suo respiro cade, lentamente, in uno scrigno argentato,
dove la sua fata lo conserva con cura.
Il sorso di rum del mattino è
proprio uguale al penultimo della notte;
nei suoi domini, insisto, il freddo è rigido e così oscuro nella notte
e anche la notte è così oscura come il freddo.
Patrizia è la sua fata e credo che sia anche la sua patria,
è la patria,
la patria è il Caribe e la Città dell’Avana,
ma la patria è Patrizia, la sua fata.
La solitudine notturna accoglie le grida delle luci
della restante Città del Messico laggiù,
una pagina sta per partire verso le tribune della Patria in lontananza
e si poserà come una colomba oscura sulle spalle del costruttore di discorsi.
La patria è un’arancia nera quando si guarda
dalle fredde altitudini a ovest di Città del Messico
dove Eliseo sopravvive odorando le trine lilla della sua fata.
Una processione di poeti solca il Golfo
in entrambe le direzioni,
la poesia sommerge il mare.
Eliseo beve l’ultimo sorso, fuma l’ultimo sigaro di oggi nella notte
e vede venire quegli alpinisti zoppi
che in ogni caso dovranno scalare l’asta della bandiera.

 

(Traduzione di Gordiano Lupi)

 

 

 

Víctima de un hada

Eliseo habita en la cima de los tules,

sus predios se extienden a lo largo y a lo ancho del frío

en lo más alto del oeste de la infinita Ciudad.

Su andar es pausado como el de las golondrinas que han sido heridas en las alas,

su respiración cae, lentamente, en una caja plateada,

donde su hada la guarda con esmero.

El trago de ron de la mañana es

justamente igual que el penúltimo de la noche;

en sus dominios, insisto, el frío es pétreo y tan oscuro en la noche

y también la noche es tan oscura como el frío.

Patricia es su hada y creo que también es su patria,

es la patria,

la patria es el Caribe y la Ciudad de La Habana,

pero la patria es Patricia, su hada.

La soledad nocturna recibe los gritos de las luces

del resto de la ciudad de México allá abajo,

una cuartilla está próxima a partir hacia las tribunas de la Patria allá lejos

y posarse como una paloma oscura en el hombro del fabricante de discursos.

La patria es una naranja negra cuando se mira

desde las frías alturas del oeste de la ciudad de México

donde Eliseo pervive oliendo los encajes lilas de su hada.

Una procesión de poetas surca el Golfo

en ambas direcciones,

la poesía abisma al mar.

Eliseo toma el último trago y el último cigarro de hoy por la noche

y ve venir a aquellos alpinistas cojos

que de todas formas han de subir al asta de la bandera.

 

Félix Luis Viera


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