Diario di bordo
Adriano Sofri. L’amnistia, unica proposta che affronta ragionevolmente il problema
18 Luglio 2011
 

Cari Foglio, ho letto e apprezzato l’editoriale sulla situazione delle carceri, cioè dei carcerati e delle altre persone che vivono di galera, e gli auspici circa il nuovo ministro della Giustizia - che suonano un po’ come un giudizio indiretto sull’uscente e promosso ministro della Giustizia. Ora, vorrei dirvi senza esitazioni che tutto l’elenco di misure cui alludete nel vostro commento, e le altre che non avete citato (più importanti di tutte quelle che riguardino i detenuti tossicodipendenti e gli stranieri messi dentro perché stranieri), tutte queste misure dunque non farebbero nemmeno l’effetto di un ventaglio per signora sull’afa dell’agosto penitenziario italiano.

Chiunque conosca la questione sa che la richiesta di Pannella e dei Radicali, e delle molte altre personalità e associazioni che si impegnano per i detenuti e per una minore indecenza della giustizia pubblica, la richiesta di un’amnistia, è l’unica in grado di affrontare con qualche ragionevolezza il problema. E che pensare, come voi pensate, che l’amnistia sia una cosa per la quale “non ci sono le condizioni”, vuol dire ipso facto rinunciare ad affrontare il problema. L’amnistia è l’unica misura che tolga da celle di tortura un numero abbastanza vasto di persone e restituisca uno spazio e un’aria appena respirabili a chi vi resti, e insieme sgomberi i tribunali da un arretrato di processi senza futuro che è pesante quanto e più dei debito pubblico, salvo che questo peso schiaccia solo quel popolo mutilato di detenuti per il quale il resto del mondo, in Italia e fuori, non ha tempo di commuoversi. E le istituzioni internazionali, benché di tanto in tanto si pronuncino, non sono impensierite dai default della giustizia nemmeno un milionesimo di quanto lo sono della finanza, perché le persone non valgono nemmeno un milionesimo di euro.

(Parentesi: in questi giorni Rita Bernardini, sulla scorta di un’inchiesta di Ristretti Orizzonti sugli appalti di mense e spacci in carcere, sta interrogando il governo sulla fantastica entità del costo per detenuto del mantenimento in carcere: 3 euro virgola 80 centesimi al giorno, prima colazione pranzo e cena. Poi gli appaltatori si rifanno sulla spesa. E immaginatevi i posti in cui da quella cifra bisogna detrarre le ruberie). Ora, la parola amnistia, come ricordate voi, è diventata impronunciabile dalla politica e dagli opinionisti a causa della viltà dei molti e del cinismo di alcuni, perché l’amnistia era già la misura indispensabile al tempo dello scorso indulto, perché avrebbe fatto evadere, coi detenuti rimessi fuori, una quantità maggiore di pratiche giudiziarie giacenti e inerti, sicché decretare l’indulto senza amnistia era un assurdo logico e pratico.

Lo sapevano bene, ma si spaventarono della propria ombra e della campagna cinica dei demagoghi speculatori sulla galera altrui. Ci fu un vergognoso fuggi fuggi. Furono pochi a non rinnegare o tacere per viltà le loro opinioni, e fra i più autorevoli di quei pochi Napolitano e Prodi (cui la triviale campagna contro l’indulto preparò la caduta). Da allora, la frasetta sull’amnistia diventata impraticabile nelle condizioni eccetera viene ripetuta a memoria così da dimostrare che un errore commesso una volta può diventare la premessa di un errore perenne.

I dati di fatto, a cominciare dalla percentuale di recidive tra i detenuti che non hanno mai usufruito di misure alternative e di indulto, e tra quelli che li hanno ottenuti, sono bellamente ignorati. Così, a questa demagogia vile e a questa viltà demagogica si sacrifica, con la verità, l’interesse alla sicurezza comune, il rispetto del diritto e della Costituzione, la vita dei carcerati e la dignità degli operatori della cosiddetta giustizia. Perfino notizie come la partecipazione ai digiuni di esponenti dei più in vista dell’Ordine degli avvocati passano in silenzio, e finiscono travolte dalle reazioni d’ordine dell’Ordine. Perfino le notizie sui magistrati che, si ricordano, quando se ne ricordano, che le loro sentenze si traducono in illeciti e brutali sequestri di persona, passano sotto silenzio. Allora, senza farsi molte illusioni, e neanche poche -niente illusioni, è una delle traduzioni possibili di spes contra spero - unitevi almeno alla voce di chi dice: amnistia. Meglio dirla, la cosa appropriata, anche se “non ci sono le condizioni”. Del resto, la frasetta “non ci sono le condizioni”, è una specie di parola d’ordine universale, un’insegna da affiggere sulla porta chiusa del pianeta d’oggi.

 

Adriano Sofri

(da Notizie Radicali, 18/07/2011)


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