Oblò Mitteleuropa
Disperazione e speranza. La “Pasqua” di Josef von Eichendorff 
di Gabriella Rovagnati
24 Aprile 2011
 

La quartina più nota di Josef von Eichendorff è anche una delle più semplici e sintetiche dichiarazioni di poetica del romanticismo tedesco:

 

Bacchetta magica

 

Dorme un canto in ogni cosa

Che continua, continua a sognare

E il mondo prende a cantare

Se la parola magica sai trovare.1

 

Progressiva e universale” aveva definito Novalis la poesia romantica, perché essa non doveva mai essere espressione di appagamento, ma appunto sempre segno di una ricerca, animata dalla Sehnsucht, ossia da un anelito vago e irresistibile verso qualcosa che partecipava delle categorie dell’assoluto, come le idee in sé o il divino, ma che restava avvolto nel mistero, benché si facesse intuibile nel presentimento e nel sogno. Il momento dell’epifania, in cui il mondo avrebbe finalmente rivelato la sua dimensione autentica, nascosta dietro l’apparenza delle cose, necessitava però di uno stato d’animo particolare, della disponibilità a credere nel “Zauber”, ossia nella magia, nel portento, nel miracolo.

 

Nato nel 1788 nel castello di Lubowitz presso Ratibor nella Slesia settentrionale (oggi polacca) Eichendorff, che in Slesia morì nel 1858, è, in verità, diventato famoso soprattutto grazie a un racconto, La vita di un perdigiorno [Aus dem Leben eines Taugenichts, 1826], incentrato su una delle tematiche predilette dal romanticismo tedesco, la “Wanderlust”, la gioia connessa al vagabondare senza meta. Il testo propone un programma di vita alternativo, privo, agli occhi dei benpensanti, di qualsiasi progettualità o significato; il protagonista vive infatti in piena libertà, senza fissa dimora, vincolato soltanto a un fardello di stracci e a un violino; la sua esistenza non è affidata al ritmo del lavoro, ma è guidata da un ottimistico credo nella divina Provvidenza che, ogni volta che si trova a un bivio, lo spinge sempre sulla strada per lui più favorevole. Infatti, come dice la strofa iniziale della canzone introduttiva alla vicenda del fannullone, «Iddio invia nelle vastità del mondo / Quelli cui il suo favore vuol mostrare / E a costoro i suoi prodigi presentare / Fra montagne e foreste, campi e fiumi».2 Insomma, senza il credo nel meraviglioso e nel portento, senza il tempo per l’ozio, non inteso come padre dei vizi ma come il contrario di negotium, ossia come momento di riflessione (assai più produttivo per la crescita interiore dell’affanno concreto quotidiano), lo spirito perde il suo dono più bello: la libertà.

 

Di aristocratici natali e di confessione cattolica, Eichendorff, ebbe sempre la coscienza di essere una voce fuori dal coro nella sua epoca: era un nobile decaduto in un’era rivoluzionaria, un devoto credente in un tempo di sempre maggiore secolarizzazione. Ma forse proprio grazie alla sensazione di essere arrivato per così dire “in ritardo”, gli permise di trovare uno stile personalissimo, che sempre ricercava la trascendenza oltre la banalità della realtà empirica. Poiché stilisticamente ricorreva a toni popolareggianti e a rime di estrema musicalità, Eichendorff venne da molti frainteso e considerato un epigono superficiale dalla rima facile; in verità la sua poesia, semplice solo in apparenza, vive di una molteplicità allusiva permette all’autore di tracciare con pochi tratti, dove le parole si ripetono in combinazioni diverse, immagini stratificate di grande originalità.

 

Così anche la sua poesia oggi nota con il titolo Pasqua, uscì in realtà inizialmente come Suoni di primavera [Frühlingsklänge, 1833]; e i titoli sono entrambi appropriati grazie alla polivalenza dei versi, giocati sull’alternanza di cordoglio e tenebra e invece la speranza di una nuova vita di luce che alla fine ha il sopravvento:

 

Pasqua

 

Dal duomo risuonano campane a lutto,
Dalla valle sale echeggiando esultanza.
Riposi in pace là cantano al defunto,

Le allodole giubilano: ¨ridestati!
Di terra lo coprono in silenzio,
Il verde irrompe da ogni tomba,
I fiumi chiari per i campi si snodano,
Il bosco serio parla come in sogno,
E con quei suoni d’esultanza e di lutto,
Fin dove per la landa lo sguardo giunge,
C’è un profondo tremito di primavera
Come fosse un giorno di resurrezione.
3

(trad. di G. R.)

 

Come l’opera di Eichendorff nel complesso, anche questi versi sono venati dalla nostalgia per una paradisiaca epoca primigenia, che il poeta spera idealmente di poter ripristinare in contrapposizione a una contemporaneità dominata da scissione e confusione e quindi bisognosa di redenzione.

 

 

1 Wünschelrute // Schläft ein Lied in allen Dingen, / Die da träumen fort und fort, / Und die Welt hebt an zu singen, / Triffst du nur das Zauberwort.

2 Wem Gott will rechte Gunst erweisen, / Den schickt er in die weite Welt; / Dem will er seine Wunder weisen / In Berg und Wald und Strom und Feld.

3 Ostern // Vom Münster Trauerglocken klingen, / Vom Tal ein Jauchzen schallt herauf. / Zur Ruh sie dort dem Toten singen, / Die Lerchen jubeln: Wache auf! / Mit Erde sie ihn still bedecken, / Das Grün aus allen Gräbern bricht, / Die Ströme hell durchs Land sich strecken, / Der Wald ernst wie in Träumen spricht, / Und bei den Klängen, Jauchzen, Trauern, /Soweit ins Land man schauen mag, / Es ist ein tiefes Frühlingsschauern / Als wie ein Auferstehungstag.


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