In tutta libertà
Gordiano Lupi. Luigi Zampa: Telefoni bianchi, satira sociale e commedia erotica
19 Marzo 2011
 

Luigi Zampa (1905 – 1991) abbandona presto gli studi universitari presso la facoltà di ingegneria per dedicarsi all’attività di commediografo. In seguito frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia, si diploma in regia, ma scrive anche molte sceneggiature per il cinema dei telefoni bianchi. Alcuni titoli: Mille lire al mese, Dora Nelson, Tutto per la donna, Un mare di guai, La danza dei milioni, Centomila dollari… Dirige un cortometraggio intitolato Risveglio di una città (1933), debutta nel mondo del lungometraggio cinematografico con L’attore scomparso e Frà Diavolo, entrambi del 1941. I film che Luigi Zampa realizza nel periodo bellico sono conformisti e seguono la moda di una produzione leggera, opere piene di retorica caramellosa tratte da romanzi rosa di scrittori come Wanda Bontà. Signorinette, C’è sempre un ma!, L’abito nero da sposa - tutti datati 1943 - e Un americano in vacanza (1945) cercano soltanto di risollevare il pubblico dalle tristezze e dai problemi della guerra. Un americano in vacanza è il film migliore, se non altro per un valore documentario, oltre a compiere l’operazione neorealistica di far parlare gli americani in inglese (sottotitolato) ed essere girato tra le rovine della guerra. Resta una commedia da telefoni bianchi che tesse le lodi degli americani e impostare un discorso di amicizia con il nuovo alleato. I primi lavori che Zampa gira nel dopoguerra possono considerarsi blandamente neorealisti, ma sono originali perché cominciano a far prendere forma alla commedia con trovate umoristiche inserite in un contesto drammatico. Zampa sembra un regista più adatto a realizzare una caricatura della realtà che a descriverla senza nessun tipo di influenza esterna.

Vivere in pace (1946) rappresenta la pellicola del cambiamento, ma non è un capolavoro del neorealismo - come ritengono molti critici nordamericani - quanto un’opera a metà strada tra la commedia di costume e il melodramma. Zampa racconta il dramma di un popolo coinvolto in una guerra che non condivide ma ne paga lo stesso le conseguenze. Vivere in pace è il primo film italiano che contribuisce ad aprire le porte alla commedia rosa, intriso di gusto per il bozzetto e per gli squarci comici. Aldo Fabrizi è l’ottimo interprete principale, oltre che sceneggiatore insieme a Suso Cecchi d’Amico, Piero Tellini e al regista. L’onorevole Angelina (1947) si regge tutto sulla grande interpretazione di Anna Magnani, nei panni di una paladina della povera gente, ma non va oltre una blanda satira piccolo - borghese. Anni difficili (1948) segna l’inizio della collaborazione tra Luigi Zampa e lo scrittore Vitaliano Brancati ed è uno dei migliori film del regista, capace di mettere alla berlina sia la retorica fascista come il successivo trasformismo della classe politica. Anni facili (1953) è ancora un film scritto da Brancati per rappresentare miserie e contraddizioni del nostro paese, prime tra tutti trasformismo e corruzione assurte a regole di vita. Un film che anticipa la miglior commedia all’italiana, pieno di brio e di momenti comici che evitano cadute moralistiche. L’arte di arrangiarsi (1954) è l’ultimo film scritto da Brancati per Zampa (muore durante le riprese), interpretato da un Sordi in gran forma, per sottolineare ancora una volta gli italici vizi del trasformismo e della corruzione. Il cinema di Luigi Zampa negli anni Cinquanta affronta tematiche sociali ma con il tono divertito e ironico della commedia. Importante la sua collaborazione con lo scrittore Vitaliano Brancati, in veste di sceneggiatore, per la graffiante critica alla società italiana. Zampa riesce a raccontare i trasformismi italiani, il passaggio dal fascismo alla democrazia e gli opportunismi dei nostri politici. Processo alla città (1952) è importante perché è uno dei primi film a parlare di penetrazione camorrista nella Napoli di inizio secolo. Si tratta di un melodramma popolare piuttosto riuscito che vede tra gli interpreti la bellissima Silvana Pampanini. In questo periodo Zampa lavora su testi letterari e sceneggia per il cinema romanzi e racconti di autori come Luigi Pirandello ne La patente (1954 - episodio di Questa è la vita), interpretato da un grande Totò nei panni dello iettatore a caccia di riconoscimento, e Alberto Moravia ne La romana (1954), interpretato da un’affascinante Gina Lollobrigida. Ricordiamo altri lavori che si dividono tra melodrammi, commedie sentimentali, blande satire di costume e commedie ironiche: Campane a martello (1949), Cuori senza frontiere (1950), È più facile che un cammello… (1950), Signori, in carrozza! (1951), Isa Miranda (1953 - episodio di Siamo donne), Ragazze d’oggi (1955) e La ragazza del palio (1957).

Ladro lui, ladra lei (1958) è interpretato da Alberto Sordi e Sylva Koscina ed è un film di passaggio dal neorealismo rosa alla commedia all’italiana, senza essere né l’uno né l’altro. Sylva Koscina mostra un fisico prorompente e si impone all’attenzione del pubblico come femme fatale del nostro cinema. Zampa racconta l’amicizia tra una borgatara e un ladruncolo, critica l’immoralità dei commercianti che cercano la commessa piacente e finisce nel romanticismo più incredibile. Ottimo Sordi. Buona comicità.

Negli anni Sessanta, Luigi Zampa gira commedie grottesche che criticano la società, anche se non dimostra mai un impegno vero e proprio, ma punta solo alla battuta, al gusto per la macchietta, senza un vero bersaglio da colpire. Stiamo parlando di pellicole come Il magistrato (1959), Il vigile (1960), Il medico della mutua (1968), Contestazione generale (1969). Interpreti femminili interessanti come Jacqueline Sassard, Sylva Koscina e Mariangela Melato non bastano a definire le pellicole come antesignane della commedia erotica, perché al regista interessa solo una blanda critica alla società e una comicità spesso qualunquista. Altri film interessanti sono il vacanziero Frenesia dell’estate (1963) interpretato da Sandra Milo e Lea Padovani, la satira sociale che sfocia in farsa di Una questione d’onore (1966), interpretato da Ugo Tognazzi nei panni di un sardo geloso. Il marito di Olga (1966 - episodio de I nostri mariti) è stato già affrontato nel capitolo su Luigi Filippo d’Amico.

Le dolci signore (1967) è il primo film di Luigi Zampa che anticipa esplicitamente l’avvento della commedia erotica. Basta vedere le interpreti: Ursula Andress, Virna Lisi, Marisa Mell e Caludine Auger. Nel campo maschile troviamo Mario Adorf, Jean-Pierre Cassel, Frank Wolff, Lando Buzzanca, Vittorio Caprioli, Luciano Salce e Franco Fabrizi. Zampa racconta le vicissitudini di quattro mogli borghesi che soffrono diversi problemi legati al sesso. Ursula Andress è una moglie repressa che sogna di essere inseguita da un vigile nudo (Adorf); Virna Lisi è una moglie adultera ricattata; Marisa Mell si scopre per caso ottima spogliarellista; Claudine Auger finisce per tradire il marito consenziente. Le dolci signore è scritto e sceneggiato da Ruggero Maccari, Ettore Scola e Sandro Continenza, sulla scia del successo di Signore & signori di Pietro Germi. Il film è importante perché è un precursore della commedia erotica, ma non è memorabile per originalità di trama e comicità pura, anche se Zampa inserisce gustosi elementi di satira sociale.

In tempi più recenti Luigi Zampa torna a occuparsi di tematiche sociali con film come Bisturi, la mafia bianca (1973), atto di accusa violento ma generico contro i baroni della medicina, e Gente di rispetto (1975), per tratteggiare una Sicilia arretrata che non accenna ad aprirsi alla modernità. I lavori più commerciali di questo ultimo periodo sono i soli ad avere riferimenti alla tematica erotica.

Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata (1971) vive sulla recitazione di Alberto Sordi e Claudia Cardinale, coppia formata da uno spiantato e da una prostituta che si ingannano a vicenda, finiscono per accontentarsi e vivere insieme. I personaggi sono ben costruiti, la sceneggiatura di Sonego è ottima, il carattere di Amedeo è ben stigmatizzato dall’interpretazione convincente di Sordi. Il mondo dell’emigrazione italiana in Australia è tratteggiato con cura in una sorta di road movie a metà strada tra il patetico e il sentimentale.

Il mostro (1977) racconta la storia di uno scoop giornalistico che costa caro al suo autore. Il film è interpretato da Johny Dorelli, Orazio Orlando, Yves Beneyton, Sidney Rome e Angelica Ippolito. Una pellicola grottesca che mette alla berlina un’Italia assuefatta al crimine e alla notizia sensazionale, tra stragi, terrorismo, serial killer e omicidi vecchio stampo. Perfetta la critica a un certo tipo di giornalismo che per il gusto del sensazionalismo costruisce mostri.

Letti selvaggi (1979), l’ultimo film di Luigi Zampa, è vera e propria commedia erotica, una classica commedia a episodi che vede molte dive sexy del periodo. L’arabo, interpretato da Sylvia Kristel e Orazio Orlando, racconta la storia di un venditore di tappeti ripetutamente truffato da un’avvenente cliente. Bellissima la Kristel, fresca interprete della serie erotica di successo Emanuelle. Laura Antonelli è impegnata per Un pomeriggio noiosetto, dove spara a un presunto corteggiatore per accontentare il marito geloso, ma prima si fa vedere nuda, e per La donna d’affari che la mostra invaghita di un direttore d’orchestra che finisce per portarsi a letto. La vedova, interpretato da Ursula Andress e Michele Placido, mostra una donna che ha appena seppellito il marito in preda a una fugace passione per un bel fotografo. Attenzione a quei due è l’episodio più casto, anche perché interpretato da Monica Vitti e Michele Placido, nei panni di due ladri concorrenti. La passante vede ancora in primo piano la prorompente bellezza di Ursula Andress, stipendiata da alcuni carrozzieri per provocare incidenti, mostrandosi nuda agli automobilisti dopo aver aperto la pelliccia. La moglie giovane, interpretato da Sylvia Kristel ed Enrico Beruschi, vede la bella moglie legare il marito noioso e scappare a Parigi. Una mamma, con Monica Vitti e Roberto Benigni, mostra la Vitti nei panni di una prostituta che si presta ad accompagnare un ragazzo a scuola fingendosi sua madre, ma alla fine si cala troppo nella parte. Sono otto episodi dal buon contenuto erotico, girati con cura ed eleganza, mai volgari, molto femministi. Luigi Zampa abbandona il mondo del cinema e lascia un buon ricordo, soprattutto su come si possa fare commedia erotica senza andare fuori misura.

Gian Piero Brunetta afferma nella sua imprescindibile Storia del Cinema Italiano: «Luigi Zampa si è posto il problema della rappresentazione dell’italiano e della misurazione dei rapporti variabili con le istituzioni. La vena della satira e del grottesco si salda in lui a una risentita consapevolezza civile, che con molta probabilità gli deriva dal sodalizio con Brancati. Il regista non parte dal personaggio, ma dal contesto, dal tema, e usa l’intreccio e il personaggio come esatta misura e reagente dei problemi del contesto. Dalla corruzione politica alla disfunzione dell’assistenza medica e ospedaliera, dalla crisi dell’identità religiosa, alla rappresentazione della mafia e delle sue ramificazioni nella società. Zampa sposta sul piano della satira temi drammatici e continua a tener vivo il senso d’una grande passione e l’esigenza di lottare contro i residui parassitari e arcaici della società italiana».

 

Gordiano Lupi


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