Oblň cubano
Yoani Sánchez. Il nostro uomo a Tripoli
11 Marzo 2011
 

Dal 1977 Castro e Gheddafi sono stati alleati

Si guardarono e sentirono di essere due uomini molto simili

 

 

Nella primavera del 1977, quando Fidel Castro si recò in Libia, ero soltanto una neonata tra le braccia di mia madre che faceva parte della milizia, appena un pezzo di “uomo nuovo” non ancora modellato. Il colonnello Muammar Gheddafi ricevette Fidel con tutti gli onori e gli concesse la Medaglia al Valore, un’onorificenza che veniva assegnata per la prima volta a una personalità straniera. Davanti alle telecamere, il comandante in capo ringraziò con una stretta di mano il militare che era stato da poco nominato guida della rivoluzione. Si guardarono e sentirono di essere due uomini molto simili. Più tardi fu la volta dell’incontro non ripreso dalla televisione, una riunione a porte chiuse che servì a rinsaldare le basi di quella che sarebbe stata un’alleanza durata oltre trent’anni.

Cuba e Libia avevano intrapreso strade parallele che si sarebbero unite in diverse occasioni. Il punto di maggior contatto era costituito dai due leader, nella simpatia reciproca che entrambi i condottieri si manifestavano. Per questo motivo, nel 1980, quando la nostra isola fu sconvolta dalla fuga in massa di oltre centomila cubani, Gheddafi tornò a tendere ufficialmente la sua mano solidale. Con un messaggio carico di lodi, si congratulava con Fidel Castro per essere stato rieletto primo segretario del Comitato Centrale durante il Secondo Congresso del Partito Comunista. In quel momento Muammar Gheddafi si trovava al comando di quel vasto territorio del Nord Africa da oltre un decennio, mentre noi ascoltavamo gli interminabili discorsi del leader massimo da più di vent’anni. Entrambi i condottieri basavano parte della loro retorica autoreferenziale nella costante citazione dei servizi sociali gratuiti offerti ai loro cittadini. In quel modo ci ricordavano quotidianamente il miglio, ma non facevano alcun riferimento alla gabbia.

Nel 1977 Gheddafi dette vita a un sistema politico nuovo, una sorta di repubblica nelle mani di tutti, molto simile allo slogan “il potere del popolo, è il vero potere” che ci ripetevano da questa parte dell’Atlantico. In Libia, se le cose non funzionavano la colpa era dei cittadini che non sapevano guidare la loro nazione, così come se il degrado economico si impadroniva di Cuba era perché la pigrizia e lo spreco degli individui deturpavano il volto dell’utopia. Tanto un leader come l’altro agitavano davanti agli occhi dei sudditi il fantasma dell’invasione straniera e presentavano il ritorno alla dipendenza politica come la peggiore delle sconfitte. L’anticolonialismo era il lupo feroce che ricordava l’eccentrico dirigente di origine berbera, così come la guida caraibica ricorreva all’espediente dell’antimperialismo, trasformando la metafora di Davide e Golia in una perenne allusione a Cuba e gli Stati Uniti.

Negli anni Novanta entrambi si bruciarono nel falò alimentato dalla loro testardaggine e dai comportamenti belligeranti. Gheddafi doveva ripulire la sua immagine nei confronti dell’Occidente, mentre Fidel Castro aveva urgente bisogno di raccogliere i dollari che gli avrebbero consentito di conservare il potere dopo il crollo del blocco socialista. L’eccentrico presidente libico pagò risarcimenti, si aprì timidamente agli investimenti stranieri, rinnegò - almeno pubblicamente - il terrorismo, e fu persino invitato da Barack Obama al vertice del G-8. Il comandante in verde oliva fu più cauto, dette inizio a un processo di riforme economiche che dopo cercò di controllare con un ritorno al centralismo, armonizzò il suo discorso aggressivo con frasi che facevano riferimento al danno ecologico subito dal pianeta, per presentarsi alla fine del primo decennio di questo millennio come un vecchio saggio che pubblica riflessioni illuminanti.

La stampa ufficiale cubana mosse le prime critiche al comportamento del fratello guida della grande rivoluzione libica. Si metteva in discussione quella riforma radicale del regime socialista che secondo Gheddafi avrebbe potuto portare a un “capitalismo popolare”. Sembrava proprio che le strade, in passato spesso convergenti, cominciassero a intraprendere percorsi del tutto diversi.

Malgrado ciò, a 23 anni compiuti, ho visto con i miei occhi il nuovo abbraccio affettuoso tra i due condottieri. Le cose non erano simili a quel marzo del 1977, perché mia madre non voleva neppure sentir parlare della sua uniforme di miliziana e il leader libico si riconosceva a stento a causa di trucco, vestiti e occhiali da sole. Nel 1998, quando Fidel Castro partecipò alla Conferenza del Movimento dei Non Allineati, venne festeggiato con il Premio Muammar Gheddafi per i Diritti Umani che comprendeva la dotazione di 250.000 dollari. Era chiaro che lo scambio di onorificenze significava, oltre alla collaborazione economica e militare, una dichiarazione di solidarietà e l’assenza di condanna, in pratica un sostegno reciproco, nei modi scelti da entrambi per muovere i mulini che spingevano ancora una volta le acque del potere verso di loro.

 

Yoani Sánchez

(da El Pais)

Traduzione di Gordiano Lupi


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276