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Alberto Figliolia. Il ritorno di Dan Peterson
17 Gennaio 2011
 

Mm mm... Per me, numero uno!... Amici sportivi e non sportivi... Mamma, butta la pasta... Non ci vuole molto a indovinare da chi siano state pronunciate queste frasi-tormentone. Da Daniel Lowell Peterson, più noto come Dan, l'uomo di Evanston, Illinois, statunitense, che ha trovato la sua America in Italia, grandissimo allenatore e fenomeno della comunicazione.

Peterson, 75 anni compiuti il 9 gennaio, così come la Pallacanestro Olimpia Milano vestita Armani Jeans, ha ripreso ad allenare dopo il suo ritiro avvenuto più di ventitré anni fa, dopo essersi ricoperto di gloria: scudetto con la Virtus Bologna e più titoli a Milano con tanto di Coppa dei Campioni e Grande Slam.

Che un coach rientri dopo essere stato tanto a lungo lontano dalla panchina è già una notizia. In questi quasi cinque lustri Din Don Dan, come alcuni buontemponi l'hanno ribattezzato, o Il nano ghiacciato, come l'ha appellato una geniale e principesca malalingua – eppure lui, oltre la pressione sanguigna bassa che dichiara e richiama scherzosamente ad alibi/giustificazione e il fare talora compassato, ha tanto sentimento da vendere/regalare – ha fatto di tutto (e bene): dalla pubblicità alle telecronache di basket – celeberrime quelle della NBA degli anni d'oro –, di wrestling e, se non ricordo male, anche di ippica; dalla stesura di innumerevoli libri e articoli alle conferenze per gruppi industriali e società (chi più di lui esperto di Team building aut similia?) e alle consulenze tecniche. E chissà quante altre cose dimentichiamo.

Peterson è di una gentilezza che oserei definire forbita e anche di eccezionale memoria (lui di costituzione così minuta è come un elefante in tal senso). Suppongo che, se gli sei cordialmente antipatico, non se lo dimenticherà mai, anzi lo ricorderà anche ad altri, ma, al tempo stesso, è così intelligente (anche astuto), così formalmente educato, così cosciente del suo ruolo pubblico, che non lo farà mai pesare nei rapporti professionali. Impossibile, anche in caso di difformità caratteriali, non rispettarlo. Per tanti versi lui è stato ed è un modello.

Ironico e autoironico, una perfetta padronanza della nostra lingua, simpatico oltre ogni dire se vuole e quando vuole (e spesso vuole). Maestro della captatio benevolentiae senza umiliare gli interlocutori e senza umiliarsi (del resto lui è una potenza ovunque e comunque, giustamente ammirato per quel che ha fatto e farà), è in possesso di una cultura decisamente sterminata e non necessariamente settoriale.

Però tornare ad allenare dopo quasi venticinque anni sembra(va) troppo. Anche per uno dotato come lui, maestro d'ascia, di strada e di palla.

Prodromi: l'Olimpia Milano le prende di brutto nel derby con Cantù. Letteralmente stracciata sul campo dalla furia agonistica della squadra brianzola spinta dalla prestazione balistica del capitano Nicolas Mazzarino, italo-uruguagio di stanza in Italia da gran tempo e formidabile cecchino, e dall'incommensurabile tifo del Pianella. Una Milano scassata e scollata, allo sbando, sostanzialmente mai in partita, con giocatori dai visi fra lo smorto e l'annoiato, Coach Piero Bucchi quasi impotente during the game e nei time out.

È il 2 gennaio 2011 (il giorno dopo, inciso che ci piace inserire, il grande Bob Morse, emerito tiratore in forza alla Varese vincitutto degli anni Settanta, compie 60 anni). La panchina di Bucchi salta e Coach Peterson, contattato dal presidente dell'Armani Jeans Livio Proli, accetta di sostituirlo. Una decisione che appare più romantica che razionale. Per fare meglio di Bucchi, finalista nelle due ultime stagioni nonostante lo 0-4 rimediato in ambedue gli atti conclusivi, Peterson dovrebbe vincere lo scudetto (la mostruosa Siena permettendo).

Il 5 gennaio incombe con la partita di campionato al Forum contro Caserta. Proprio contro i campani era finita la carriera di Peterson: 3-0 in finale playoff, anno di grazia cestistica 1987, e solito triangolino tricolore conquistato.

La prima panchina del back of the 2011 viene preceduta da una conferenza stampa fantasmagorica dove il buon Dan si scatena con la sua simpatia e le sue idee: Il basket è più arte che scienza... Solo all'Olimpia non potevo dire no... Quando l'Olimpia ti entra nel cuore non ne esce più... Io e l'Olimpia siamo nati lo stesso giorno, mese e anno: una felice coincidenza... Quando Proli mi ha chiamato stavo andando all'Enpals per la pensione... Non ho dormito la notte e sono pieno di adrenalina... etc. etc. Il nano ghiacciato ha parlato con la testa e con il cuore. Saggezza antica ed entusiasmo giovane (Stare coi giovani mi fa sentire giovane).

Davvero i fuochi d'artificio. E non è certo mancata la parte tecnica: Non farò rivoluzioni o terremoti... Voglio osservare le reazioni della squadra e poi decidere... Non serviranno tanti schemi. Io poi sono uno schiavo della semplicità. Immancabile la domanda sulla famosa difesa 1-3-1, la zone press chiamata la mano che strangola, con cui Coach Peterson, supportato sul campo dalla maestria e dalla classe di Mike D'Antoni, Bob McAdoo, Dino Meneghin, Ciccio Premier, Franco Boselli, Vittorio Gallinari (il padre del Danilo dei New York), poteva ribaltare qualsiasi disperata situazione.

Standing ovation per Peterson al suo ingresso sul parquet del Forum di Assago, e prima, facile vittoria, della sua seconda vita di allenatore. È vero che talora nel corso della partita le pose del coach parevano un po' ingessate ma l'emozione era tanta. Anche per chi ha fatto tre quarti di secolo su questo pianeta (a spicchi, visti i meridiani che lo tagliano).

Nel post partita il coach appare lievemente provato fisicamente, ma un match di basket sa essere duro, molto duro e stressante. A ogni modo anche in sala stampa Peterson inscena uno show, fra telefonino che squilla e non lo lascia in pace (solo a lui è concesso) e battute a iosa.

Il Peterson di oggi è un santone, ieratico, quasi profetico. Comanda la squadra con il carisma e la forza di un sapere che giunge da lontano, temprato dai fondamentali tecnici, dall'esperienza e dalla disciplina interiore. Ascolta le domande dei giornalisti e risponde, ma non rinuncia all'appunto indiretto, al richiamo dietro le righe. Bisogna saper interpretare alcune risposte di Peterson. Nel senso che c'è l'immediato riscontro e qualcosa d'altro, da cogliere oltre il primo livello di senso. C'è da imparare ogni volta.

9 gennaio: Milano batte Cremona in casa sua. Una squadra, quella della città del Torrazzo, ben organizzata. Peterson restaura la legge della 1-3-1 (L'abbiamo provata soltanto una volta, la mattina). E, se i milanesi beccano due canestri, l'impatto psicologico fa girare la partita. L'Olimpia recupera lo svantaggio e vince in (quasi) scioltezza.

Un'altra lezione. Le partite non sono solo disegni e scelte tattiche, strategie di cambi riusciti, dotte preparazioni a tavolino, ma anche raffinato uso di psicologia, alias conoscenza dell'uomo, di coloro che hai e di coloro che affronti.

Ah Il piccolo grande uomo... ci mancava. Se quella di Proli è stata (non manca il conforto di questa tesi) una notevole operazione mediatica, noi siamo contenti di rivedere il coach in panca.

Sarà anche l'illusione della giovinezza che si ricrea a muoverci, ma è una piacevole sensazione.

Ben tornato, Coach.

 

Alberto Figliolia

 

P.S. 16 gennaio 2011, quindicesima giornata del campionato di serie A, Forum di Assago: Armani Jeans Milano-Scavolini Pesaro 94-84, e fa tre su tre per Dan Peterson...


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